Io c'ero
Domenico Ioppolo, Mr. Nielsen
Ha vissuto la sua infanzia a Polistena in Calabria, un “luogo magico per un bambino, fatto di luce, misteri, personaggi mitici e con una lingua che mi teneva avvolto come in una favola”. Nel 1968 anni si trasferisce a Milano per affrontare la sua “vita nuova”. Proprio in quell’anno di cambiamenti e trasformazioni per il mondo intero
Ha vissuto la sua infanzia a Polistena in Calabria, un “luogo magico per un bambino, fatto di luce, misteri, personaggi mitici e con una lingua che mi teneva avvolto come in una favola”, dice Domenico Ioppolo. Nel 1968 anni si trasferisce a Milano per affrontare la sua “vita nuova”. Proprio in quell’anno di cambiamenti e trasformazioni per il mondo intero.
Ragazze e ragazzi nella stessa classe per me fu un shock
Un anno che gli presentò subito il conto all’ingresso della scuola. Ancora troppo piccolo, e immerso in una koinè culturale e linguistica diversa, il tredicenne Domenico non riuscì a comprendere subito il mondo che aveva davanti. Un mondo fatto di libertà e contestazione della famiglia, musica come evasione, amore e vicinanza tra ragazzi e ragazze, dibattito sociale che per un ragazzo cresciuto a Polistena restavano elementi lontani che richiedevano un percorso non facile per essere assimilati e compresi.
Spiava i consumi degli italiani
“La Milano di quegli anni mi aveva colpito per due cose: era una città sporca e piena di smog ma era anche una città dove si sentiva un senso di libertà ad iniziare dalle classi miste che in Calabria erano ancora un utopia. Negli anni ’70 Milano era una continua fucina di eventi, cultura, incontri e occasioni di dibattito e di scambio. Aveva uno spessore che negli anni successivi ha saputo coltivale e mettere a frutto”. La sua carriera inizia nella sede italiana dell’americana Nielsen, società specializzata in rilevazioni sui consumi famigliari, quote di mercato, prezzi di beni di consumi e una serie di analisi a favore delle attività di marketing delle aziende.
La Milano da Bere, la pubblicità, gli eventi e la moda…
Domenico ci sa fare e sa vendere bene i dati che sforna ogni giorno. A chi? Ai giornali, alle case editrici ma soprattutto alle aziende che devono controllare l’andamento delle vendite proprie e dei concorrenti. Trattiene relazioni con i responsabili del marketing delle principali aziende di beni di largo consumo, con editori e con i centri media (chi confeziona e vende pubblicità per la tv, carta stampata, radio, affissione, etc). Siamo nella “Milano da Bere“, nella Milano della moda, del fashion, delle radio e delle prime tv private. Ma soprattutto siamo nella Milano dell’audience da cui trarre dati per pianificare investimenti pubblicitari.
Il manager dell’Audience
In Nielsen diventa prima chairman e poi Amministratore delegato di tutta l’area del Mediterraneo. A lui si deve tra l’atro la nascita del sistema di misurazione di internet Net Rating. Dopo diverse esperienze in Media internazionali ed italiani, negli ultimi anni si dedica al mondo dell’Educational, rilanciando e portando al successo Campus-Salone dello studente, la più grande piattaforma del mondo giovanile (1.300.000 giovani inscritti), di cui è Amministratore delegato, per cui ho ricevuto l’Award dei Parlamenti dell’area del Mediterraneo. Ha dedicato più di 20 anni all’insegnamento universitario, pubblicando diversi libri e saggi tra i quali “Le nuove parole del marketing” Class Editore.
Dal tuo punto di osservazione come è cambiata Milano?
“Ha perso il suo spessore culturale quasi nella sua totalità. Le grandi case editrici non esistono più. Oggi punta sulla mercificazione di ogni bene, ogni evento. Ogni occasione è buona per fare soldi. A Milano i milanesi non ci sono più. Sembra una sorta di Venezia. Un grande parco gioco con una presenza culturale circoscritta all’area digitale forse l’unica che gli è rimasta”.
E la moda?
“Parliamoci chiaro il made in Italy non esiste più è tutto in mano alle multinazionali americane o a brand francesi. Le produzioni non sono più italiane. L’unica cosa interessante è la formazioni dei giovani nel campo del fashion e nella formazione delle eccellenze di alcune università come l’Accademy di Talent Garden, Naba, Ied, Marangoni, l’Accademia Unidea.”.
Oggi vive nel Monferrato, perché questa scelta?
“Perché Milano è una città cara. E’ diventata una città che offre molto ma solo ai giovani. Sono gli adulti che la abbandonano. Per me è stata una scelta di vita. Un giovane a Milano oggi trova tante cosa, alcune di spessore altre eteree. Ma il business resta ancora qui, rispetto al resto d’Italia anche se sforna solo servizi dal banking alla finanza e ha perso la capacità produttiva. Ma anche i giovani sono cambiati. Rispetto a 30 anni fa sono più interessati a una qualità della vita migliore, più elevata. Vogliono stare in contatto tra di loro. Il lavoro non è più al primo posto nella scala dei valori. Questa esigenza diffusa nel corso dei prossimi anni dovrà mutare il lavoro. Bisognerà che le aziende ne prendano atto. La settimana corta per esempio è sempre più richiesta. A un colloquio di lavoro oggi si chiede subito lo smart working. Milano sta diventando una città leggera. Non c’è più dibattito e la città si sta accartocciando su se stessa. Assorbiamo quello che ci propongono. Si è perso il profilo culturale, si è persa l’anima. A differenza di Parigi che dal punto di vista culturale e dibattito per me resta ancora il centro del mondo”.