Sonar: tra suoni e visioni

Per fare certe cose ci vuole orecchio! E Trump mostra di non possederlo

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    Di The Donald si è detto tutto: twittomane compulsivo, amante del golf nei momenti meno opportuni, esperto di bugie proferite con la disinvoltura di un frequentatore da karaoke. Ma c’è una colpa che passa spesso inosservata: Mister President non capisce nulla di musica! E no, non è un dettaglio. Per chi guida la superpotenza mondiale, questa lacuna suona come una nota stonata nella sinfonia democratica. Perché la musica racconta chi sei. Mentre Barack Obama pubblicava ogni anno la sua Summer Playlist – un raffinato assemblaggio di jazz, soul e hip hop – Trump produce solo… rumore. E non quello creativo.

    Obama DJ, Trump disturbatore

    Le playlist di Obama? Eleganza pura: Marvin Gaye, Beyoncé, Erykah Badu, Rolling Stones e perle indie. Il tutto servito con stile, messaggi sottili e una capacità rara di apparire “cool” senza sforzo. Ogni brano da lui selezionato parlava di un’America inclusiva, complessa e affascinante. Trump, invece, ha scelto un’altra via: quella del silenzio musicale (ma non verbale). A parte l’uso discutibile di brani di artisti che lo detestano con tutta l’anima – da Neil Young a Bruce Springsteen – non esiste una vera “colonna sonora trumpiana”. Solo slogan, tamburi da comizio e il volume al massimo.

    Ignorare la musica è una scelta politica sbagliata

    Si può governare senza passione musicale? Forse. Ma ignorare il potere comunicativo delle note è un’occasione sprecata. La musica crea ponti, evoca emozioni, racconta storie. Obama lo sapeva: il suo non era marketing, era empatia. Trump, invece, ha scelto di non ascoltare. Letteralmente. E governare senza ascolto – musicale o sociale – è come dirigere un’orchestra bendati. Oltretutto senza essere Von Karajan…

    Entrambi born in the USA… ma non dalla stessa parte

    Se la politica è teatro, Trump e Springsteen sono gli attori di una tragicommedia americana. Da una parte il Boss del rock, voce delle periferie e icona progressista; dall’altra, il tycoon-presidente con lo smartphone sempre in mano. Tra i due non corre buon sangue. E nemmeno buona musica. Lo scorso 14 maggio, Springsteen ha aperto il tour europeo a Manchester con un attacco frontale: «L’America è in mano a traditori dei suoi valori». Il video ha fatto il giro del web. E ha raggiunto Mar-a-Lago a tempo di record.

    “Prugnone del rock”: Trump risponde a suon di insulti

    La replica? Su Truth Social, ovviamente. Trump ha definito Bruce Springsteen un “prugnone del rock” (sì, davvero) e lo ha accusato di essere il pupazzo di Biden. Ha anche insinuato che abbia ricevuto finanziamenti occulti da Kamala Harris. Prove? Nessuna. Indagini? Zero. Fantasia? Infinita.

    Satira da cartone animato: golf e GIF

    Il momento più surreale? Un video fake in cui Trump colpisce una pallina da golf che vola e fa cadere Springsteen sul palco. Un classico della sua propaganda digitale: umorismo slapstick alla Looney Tunes. La reazione del pubblico? Tra indignazione e imbarazzo collettivo.

    Due visioni dell’America

    Oltre agli insulti resta una verità: Trump e Springsteen rappresentano due Americhe inconciliabili. Bruce canta delle contraddizioni del suo Paese, Trump le amplifica a colpi di slogan. Uno suona la chitarra, l’altro martella la tastiera del telefono. Uno cerca empatia, l’altro volume.

    La musica come opposizione

    Il Boss è, da sempre, la colonna sonora della coscienza progressista americana: contro la guerra, il razzismo, l’ingiustizia. Trump, al contrario, non riesce a trovare nemmeno un artista disposto a condividere un palco con lui. La cultura pop lo rigetta. E la musica diventa campo di battaglia politico. Una faida, quella fra i due, esilarante sì… ma anche profondamente simbolica. È la prova che la musica, negli Stati Uniti, può ancora dividere e far riflettere. In un’America polarizzata, anche un brano può diventare una bandiera. Chi vince? Forse nessuno. O forse Springsteen, che ricorda al mondo che la libertà vera si canta… non si urla.

    Perchè ci vuole orecchio
    bisogna avere il pacco
    immerso, immerso dentro al secchio,
    bisogna averlo tutto,
    anzi parecchio…

    (Enzo Jannacci)

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