Cose dell'altro mondo
Quando il “morto” torna in vita: l’incredibile sorpresa al funerale
La polizia locale aveva attribuito un’identità basandosi su indizi fragili, il corpo è stato consegnato ai familiari — finché il giovane creduto morto non ha fatto irruzione nella veglia funebre, costringendo a rivedere l’intera vicenda.
La mattina seguente al disastro stradale, nei pressi di un ponte di Villa Carmela, le autorità scoprono un corpo irreconoscibile: profondamente mutilato dall’impatto con un camion, senza documenti addosso, senza tracce certe che possano identificare la vittima. Secondo le prime ricostruzioni, l’incidente è stato interpretato come un gesto volontario, ma i pubblici ministeri impongono un’indagine per determinarne l’identità.
In assenza di un riconoscimento formale, la notizia che un corpo giaceva non reclamato all’obitorio si diffonde rapidamente in zona. Il giorno dopo, una donna — accompagnata da una sorella — si presenta davanti agli agenti, sostenendo che l’individuo investito potrebbe essere suo figlio, scomparso da giorni. Pur con il volto irriconoscibile, ella riconosce l’abbigliamento e alcune caratteristiche del corpo come familiari e chiede che venga consegnato loro. Le autorità, pur con riserve, cedono alla pressione: la salma viene affidata alla famiglia per i funerali.
Mentre il feretro è esposto e i parenti vegliano, accade l’impensabile: un giovane irrompe nella veglia e annuncia di essere proprio il “de cuius”. Con voce incredula, afferma che è vivo — e che nella bara giace un estraneo. L’emozione è violenta: crolli, urla, svenimenti tra i presenti. Una vicina ricorda: “Molti erano terrorizzati, qualcuno urlava, altri piangevano… eravamo tutti senza parole.” Fanpage
Il ragazzo racconta di essersi recato in un paese vicino, dove avrebbe perso i sensi dopo aver fatto uso di droga, restando isolato per alcuni giorni senza poter comunicare con la famiglia. Affermando di non sapere che i suoi parenti lo avevano riconosciuto come vittima dell’incidente, chiede spiegazioni: “Non sapevo che stessi ricevendo un funerale”. Fanpage
La famiglia, sconvolta, avverte la polizia. Le autorità disporranno che il corpo nella bara venga riportato all’obitorio per ulteriori accertamenti. Nel frattempo, il clamore della vicenda attira l’attenzione anche in una città vicina, dove una famiglia segnala la smarrimento di un uomo, Maximiliano Enrique Acosta, 28 anni, scomparso da alcuni giorni. I media locali indicano che quella stessa salma — già oggetto del primo funerale — potrebbe appartenere a lui. Dopo un secondo riconoscimento, la salma viene definitivamente restituita ai familiari di Acosta per il seppellimento.
Dietro questa storia dall’apparenza incredibile, tuttavia, si celano questioni ben più gravi: l’assenza di criteri affidabili per l’identificazione, l’urgenza delle autorità di dare un nome al cadavere, e la tendenza umana a ricorrere alla somiglianza quando mancano prove certe. In questo caso, il riconoscimento basato su abbigliamento e dettagli superficiali ha assunto il valore di verità, senza ulteriori verifiche forensi.
L’episodio solleva interrogativi sul sistema giudiziario e la prassi investigativa: come garantire che un’identificazione sia valida quando le condizioni del corpo sono compromesse? Qual è il grado di responsabilità dei parenti che affermano riconoscimenti affrettati? E, soprattutto, quali guai possono scaturire quando le emozioni prevalgono sulla prudenza nelle procedure?
In fondo, non si tratta soltanto di un caso singolare o di un colpo di scena mediatico: è un monito sul rispetto della dignità del corpo e sul diritto all’identità certa, che anche un funerale non può ribaltare senza verità documentate.