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Cronaca Nera

Caso Trocchia-Giudice: la testimonianza del tassista potrebbe riaprire il caso del presunto stupro

Mentre la procura ha chiesto l’archiviazione, la giovane giornalista si è opposta fermamente. Le dichiarazioni del tassista, che descrive una ragazza visibilmente ubriaca e sconvolta, lasciano aperti molti interrogativi su quella notte e sul comportamento di Trocchia e Giudice. Sarà il giudice a decidere a dicembre.

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    La notte del 30 gennaio 2023, nelle strade di Roma, un tassista ignaro si è ritrovato al centro di uno scandalo che sta scuotendo il mondo del giornalismo. Patrizio Feliziani, il conducente che ha portato a casa i protagonisti dell’inchiesta per violenza sessuale – Nello Trocchia e Sara Giudice – è diventato il supertestimone di una vicenda che, a detta della procura, potrebbe scagionare i due giornalisti. Ma è davvero così?

    La procura ha richiesto l’archiviazione del caso, ma la giovane giornalista che ha presentato la denuncia si è opposta fermamente a questa decisione. Uno degli elementi chiave di questa vicenda è la testimonianza del tassista Patrizio Feliziani, il quale, durante il suo interrogatorio con la polizia, ha fornito una serie di dichiarazioni che potrebbero essere lette in modo diverso da quanto ha fatto la procura.

    Il tassista ha raccontato agli investigatori che, quella notte, la giovane giornalista che ora accusa Trocchia e Giudice di violenza sessuale era visibilmente turbata e “non si reggeva in piedi.” Da qui a ipotizzare quanto meno un difetto di consenso da parte di una ragazza che “biascicava” e “non stava in piedi”, è breve.

    Feliziani ha raccontato nei verbali dell’interrogatorio del 7 febbraio 2023 di aver recuperato i tre protagonisti della vicenda davanti al Treefalk’s Pub a Trastevere: “Li ho recuperati a Trastevere di fronte al Treefalk’s Pub. Lui (Trocchia, ndr) lo ricordo perché l’ho visto in televisione, c’era poi una donna e una ragazza. Ho percepito una differenza di età tra l’uomo, la donna e quella che mi è sembrata essere più giovane che definisco una ragazza. La donna più grande era seduta dietro il mio sedile, credo fosse la moglie dell’uomo. Gli altri due non ricordo come fossero posizionati, ma erano accanto a quella che mi è sembrata essere appunto la moglie dell’uomo.”

    Un bacio e una domanda inquietante

    Nel suo racconto, Feliziani descrive un’interazione tra i passeggeri che lascia emergere elementi inquietanti: “L’uomo ha chiesto a quella che era la moglie se poteva baciare la ragazza e la moglie ha acconsentito. Dallo specchietto retrovisore ho visto che si sono baciati. Il bacio non mi è sembrato forzato, ho pensato che fossero matti tutti e tre come tutti quelli che incontro di notte. L’uomo ha chiesto a quella che io penso sia la moglie se la ragazza poteva andare a casa loro. A quel punto la ragazza ha risposto che avrebbe fatto quello che decideva lei, cioè la moglie dell’uomo.”

    Una ragazza visibilmente sconvolta

    Uno degli aspetti più critici della testimonianza del tassista riguarda lo stato in cui si trovava la giovane giornalista. Feliziani ricorda chiaramente che la ragazza era visibilmente ubriaca e turbata: “Tra tutti e tre la ragazza, probabilmente era quella che nel parlare faceva più fatica nel senso che sbiascicava. Tutti sono scesi, io ho aspettato un secondo in più perché ho creduto fosse una situazione un po’ strana e poi ho riportato la ragazza a casa perché è risalita dopo trenta secondi sul taxi. Quella mi è sembrata una situazione particolare, ma non ho percepito pericolo, altrimenti avrei agito di conseguenza.”

    Altro particolare strano è quindi quello riguardante la dinamica di quanto accade sotto casa di Trocchia. Perché dopo essere scesa dal taxi, la ragazza è risalita pochi istanti dopo, visibilmente scossa, come confermato dallo stesso tassista? “La ragazza è risalita sul taxi, accanto a me, ci divideva comunque un sedile, mi ha detto che era un po’ scossa per quello che era successo, poiché non si aspettava questo atteggiamento da parte dei suoi colleghi, perché erano colleghi suoi, così mi ha detto. La ragazza era “ubriachella” come tutti e tre, del resto, e un po’ scossa perché tremava”. E qualcosa il tassista deve aver ben sospettato visto che continua: “Quando l’ho riaccompagnata le ho detto di stare tranquilla perché non le sarei saltato addosso come quell’altro, ma che l’avrei solo riaccompagnata a casa.”

    Un comportamento sospetto

    Il tassista ha anche riportato la sensazione che la situazione fosse alquanto sospetta, nonostante non avesse percepito un pericolo immediato: “La ragazza in quel momento non mi ha raccontato niente di ciò che era avvenuto nel taxi, mi ha detto solo che non si sarebbe aspettata quello che era accaduto. Sono arrivato sotto casa della ragazza e abbiamo fumato una sigaretta all’interno del taxi e, dopo aver fumato, lei mi ha chiesto il mio numero telefonico che io le ho dato. Lei ha chiamato il suo ragazzo per telefono e gli ha chiesto di scendere per raggiungerla, dopodiché è scesa dal taxi e ho visto che camminava normalmente.”

    In un passaggio successivo, Feliziani ha raccontato di come la ragazza lo avesse chiamato giorni dopo per ringraziarlo, e di come avesse avuto l’impressione che la conversazione fosse registrata: “La prima volta (che la ragazza lo chiama dopo il passaggio in taxi, ndr), lei mi chiama per ringraziarmi di averla riaccompagnata a casa. Io le ho detto che era il mio lavoro e di stare tranquilla. Qualche giorno dopo c’è stata un’altra telefonata da parte sua. Io le ho raccontato quanto sto dicendo oggi, e che ero dispiaciuto perché, se quella sera le era successo qualcosa di grave non me ne ero accorto, altrimenti mi sarei comportato diversamente. Ho avuto l’impressione che stesse registrando la conversazione tant’è che glielo ho anche chiesto, mi faceva tremila domande e io continuavo a dirle che la sera che la avevo accompagnata con l’uomo e la donna avevo visto che si baciavano e null’altro.”

    Una percezione che lascia aperti molti interrogativi

    Nonostante Feliziani abbia dichiarato di non aver percepito un pericolo immediato, la sua testimonianza offre elementi che potrebbero essere letti diversamente. La ragazza era chiaramente sconvolta e la sua condizione di ubriachezza potrebbe aver compromesso il suo consenso: “Lei probabilmente pensa che sia stata violentata o cose del genere, ma io sinceramente quella notte durante la corsa non ho provato questa sensazione, altrimenti, ripeto, sarei intervenuto. E ho avuto l’impressione che, se si stessero baciando, sarebbero voluti andare a casa tutti insieme per terminare la serata.”

    Un dettaglio finale: il cappello smarrito

    Infine, Feliziani ha raccontato di un ulteriore dettaglio avvenuto il giorno dopo la corsa: “C’è un altro particolare rispetto a questa vicenda. La centrale il primo febbraio mi ha chiamato perché era stato smarrito un cappello nel mio taxi. Ho controllato e ho trovato un cappello arancione, in terra nel lato posteriore del taxi, ho richiamato il 3370 che mi ha chiesto se potessero dare il mio numero al cliente richiedente, io ho acconsentito e il cliente poi mi ha effettivamente ricontattato, così ci siamo organizzati per la per la restituzione.”

    Un racconto che potrebbe cambiare le carte in tavola

    La testimonianza di Feliziani, il tassista, offre un quadro complesso della notte del 30 gennaio. Se da un lato la procura ha chiesto l’archiviazione del caso, dall’altro la giovane giornalista si è opposta con fermezza a questa decisione, sostenendo che quanto accaduto merita un approfondimento ulteriore. Il racconto del tassista, con tutte le sue sfumature, potrebbe essere interpretato in modo diverso, lasciando aperta la possibilità che vi siano elementi non ancora del tutto chiariti. Sarà il giudice a dicembre a stabilire se questa vicenda debba essere chiusa o se, al contrario, vi siano ancora risposte da trovare.

    L’avvocato dell’accusa Gentiloni Silveri lamenta una violazione del codice rosso: la ragazza non è mai stata ascoltata dai magistrati e le verifiche si sono svolte senza includere questo passaggio cruciale. Questo aspetto potrebbe pesare in futuro di fronte al gip.

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      Il killer del trapano, l’ombra del serial killer e quell’atroce omicidio mai risolto

      Nonostante le indagini riaperte e vari sospetti, il brutale omicidio di Luigia Borrelli del 1995 non ha ancora trovato giustizia. Un caso intricato che continua a sfidare gli investigatori.

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        Il 5 settembre 1995, nel cuore dei carruggi di Genova, viene ritrovato il corpo di Luigia Borrelli, nota nel quartiere come “Antonella”. Era una prostituta di 52 anni, brutalmente uccisa nel suo appartamento. Il corpo viene scoperto da Adriana, un’amica, preoccupata per la sua assenza. Luigia è trovata in una scena raccapricciante: dissanguata, con numerose ferite ed ecchimosi, denti spezzati e un trapano conficcato in gola. L’atrocità dell’atto suggerisce un odio profondo verso la vittima, trattata come un oggetto dal suo assassino.

        Le indagini iniziali

        Le prime indagini puntano su vari sospetti, tra cui il figlio di Luigia, Roberto, e un elettricista sardo di nome Ottavio Salis. Il trapano trovato sulla scena del crimine apparteneva a Salis, il quale aveva avuto dei dissapori con Luigia. Tuttavia, un test del DNA scagiona Salis, che, incapace di provare la sua innocenza, si suicida poco dopo essere stato interrogato. Il caso si complica ulteriormente quando anche Roberto, affetto da disturbi psichiatrici, si toglie la vita nel 2014, lasciando dietro di sé un vuoto di risposte e molte domande irrisolte.

        Riapertura delle indagini

        Nel 2023, grazie a una trasmissione televisiva, le indagini vengono riaperte. Nuove testimonianze emergono, come quella della figlia di un’infermiera collega di Luigia, che ricorda un primario dell’ospedale San Martino con graffi e lividi il giorno dopo l’omicidio. Nonostante queste nuove informazioni, il DNA non corrisponde a nessuno dei nuovi sospetti.

        Un caso intricato

        Il caso di Luigia Borrelli rimane irrisolto, con numerosi potenziali indiziati scagionati e nessun colpevole certo. La brutalità del delitto, associata a numerosi suicidi legati all’indagine, aggiunge un ulteriore strato di mistero e tragedia a questa storia. Gli investigatori continuano a cercare risposte, ma il killer rimane libero.

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          Caso Orlandi: il messaggio criptico della “cassetta delle sevizie” e il ricatto al Vaticano

          Il messaggio contenuto nella «cassetta delle sevizie» non è solo un indizio del sequestro di Emanuela Orlandi, ma un tentativo di ricatto diretto al Papa. La voce identificata come quella di Marco Accetti aggiunge un ulteriore livello di complessità a questo oscuro capitolo della storia italiana.

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            Il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più intricati e inquietanti della storia recente italiana. Un’inchiesta del Corriere della Sera ha recentemente riportato alla luce nuove informazioni su uno degli elementi più enigmatici di questa vicenda: la cosiddetta «cassetta delle sevizie», un nastro consegnato anonimamente il 17 luglio 1983, contenente un messaggio che, ora decriptato, appare come un vero e proprio ricatto al Vaticano. La perizia fonica ha rivelato che la voce dietro il messaggio appartiene a Marco Accetti, una figura già nota per il suo coinvolgimento in altre vicende oscure.

            Un messaggio criptico e inquietante

            Il nastro, ritrovato vicino al Quirinale, conteneva due lati distinti. Sul lato A, una voce maschile, artefatta per sembrare straniera, recitava un lungo messaggio indirizzato direttamente al Vaticano. Questo messaggio, per anni considerato criptico e delirante, è stato ora parzialmente decriptato, rivelando richieste precise e minacce rivolte al Papa stesso.

            Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il messaggio inizia con una dichiarazione di intenti volta a tenere alta l’attenzione mediatica sul caso: “Rendiamo noto alla pubblica opinione come gli inquirenti della Repubblica italiana […] non riportino la minima conoscenza dei nostri presunti movimenti nel quadro della malavita organizzata italiana […].” Questo linguaggio volutamente confuso serviva a disorientare l’opinione pubblica e a depistare le indagini, ma l’obiettivo era chiaro: ottenere la scarcerazione di Ali Mehmet Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II.

            La richiesta al Vaticano: liberare Agca

            Il messaggio prosegue con un accenno ai dettagli personali di Emanuela Orlandi e della sua famiglia, dettagli che non erano noti al pubblico all’epoca dei fatti. “La cittadina Emanuela Orlandi ha vissuto un anno della sua infanzia in territorio italiano,” afferma la voce, aggiungendo particolari come l’uso di occhiali da parte della sorella maggiore, Natalina, e la scelta di un sacerdote specifico per un matrimonio in famiglia, fissato per il 10 settembre 1983. Questi dettagli venivano utilizzati per dimostrare che chi parlava era effettivamente in possesso della ragazza e, quindi, in posizione di forza per avanzare richieste.

            Il cuore del messaggio era la richiesta di scarcerazione immediata di Ali Mehmet Agca. “Chiediamo la consegna di Agca indipendentemente dalla sua presa di posizione pubblica […]. Il detenuto Agca è fuori dal vincolo della magistratura italiana. La sua sentenza è inappellabile. Attendendo due anni la conferma del suo non ricorso in appello, siamo pervenuti al meccanismo della grazia.” Questo passaggio, apparentemente sconnesso, sottolinea la pressione esercitata sui vertici del Vaticano affinché intervenissero per ottenere la grazia presidenziale per Agca.

            Il ricatto al Papa: uno scenario di geopolitica

            L’obiettivo ultimo del messaggio era chiaro: costringere il Papa a premere sul Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, per ottenere la grazia per Agca, al di là della volontà del terrorista turco. Il messaggio concludeva con un appello diretto a Giovanni Paolo II: “Nell’ipotesi di rigetto della sottoscrizione da parte del detenuto Agca della scarcerazione e sua consegna ci indirizziamo nuovamente al capo di stato Giovanni Paolo II al fine che domandi alla espressione più alta dello Stato italiano ogni intervento la cui natura si pone esclusivamente sotto l’egida della considerazione umanitaria e che permetta la restituzione immediata della cittadina Orlandi Emanuela alla vita civile.”

            Questo passaggio lascia pochi dubbi: i rapitori volevano che il Papa utilizzasse tutta la sua influenza per ottenere la liberazione di Agca, promettendo in cambio il rilascio di Emanuela Orlandi.

            L’identificazione della voce: Marco Accetti

            La perizia fonica, come riportato dal Corriere della Sera, ha confermato che la voce che leggeva questo messaggio appartiene a Marco Accetti. L’ingegnere Marco Arcuri ha condotto un’analisi comparativa tra la voce del nastro e quella di Accetti, riscontrando una compatibilità del 78%, ben oltre la soglia minima del 55% considerata per una compatibilità fonica. Questo risultato avvalora l’ipotesi che Accetti fosse direttamente coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi e nei successivi tentativi di ricatto.

            Un personaggio ambiguo al centro del mistero

            Marco Accetti, che si era già autoaccusato di aver partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi nel 2013, sostenendo di aver agito per conto di un gruppo con interessi politici ed ecclesiastici, emerge ora come una figura chiave in questa oscura vicenda. Accetti, già noto per le sue connessioni con ambienti ambigui e per il suo ruolo in altri episodi criminali mai chiariti, sembra aver giocato un ruolo centrale nel tentativo di ricatto al Papa.

            Un enigma ancora irrisolto

            Nonostante queste nuove rivelazioni, il caso di Emanuela Orlandi rimane uno dei più grandi misteri irrisolti della storia italiana. La decriptazione del messaggio contenuto nella «cassetta delle sevizie» getta nuova luce su un tentativo di ricatto al Vaticano che coinvolgeva figure potenti e una rete complessa di interessi politici e religiosi. Tuttavia, la verità completa su questo caso sembra ancora lontana, e le ombre che circondano la scomparsa di Emanuela continuano a farsi sempre più fitte.

            La commissione parlamentare e la Procura di Roma hanno ora il compito di approfondire queste nuove prove e di tentare di svelare finalmente il mistero di Emanuela Orlandi, che da oltre 40 anni tiene l’Italia con il fiato sospeso.

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              ‘Ndrangheta e ultrà dell’Inter: scontro mortale a Cernusco sul Naviglio

              Uno scontro violento fuori da una palestra frequentata dagli ultras dell’Inter e da membri di CasaPound si è concluso con un omicidio che potrebbe scatenare nuove tensioni nella curva nerazzurra e pericolose ritorsioni tra le fazioni criminali coinvolte.

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                Cernusco sul Naviglio è stata teatro di un feroce scontro che ha lasciato sul campo un morto e un ferito grave. Alle 10.51 in via Besozzi, proprio fuori dalla palestra Testudo, conosciuta come ritrovo per ultras dell’Inter e membri di CasaPound, la tensione è esplosa tra Antonio Bellocco, 36 anni, uno degli eredi del potente clan di ‘ndrangheta di Rosarno, e Andrea Beretta, 49 anni, noto ultras della Curva Nord dell’Inter.

                Secondo le prime ricostruzioni, la lite è scoppiata per motivi che potrebbero essere legati a questioni di affari, culminando in un violento scontro che ha portato alla morte di Bellocco e al ferimento di Beretta. Bellocco, giunto sul posto a bordo di una Smart, avrebbe sparato per primo, ferendo Beretta al fianco. La risposta dell’ultras non si è fatta attendere: Beretta ha reagito accoltellando Bellocco alla gola, un colpo fatale che ha lasciato il mafioso riverso sul terreno.

                Andrea Beretta, noto per il suo passato turbolento come braccio destro del defunto Vittorio Boiocchi, altro nome pesante della Curva Nord, è stato immediatamente soccorso e piantonato in ospedale, dove è ora in stato di arresto con l’accusa di omicidio.

                Il luogo del delitto è stato rapidamente circondato dalle forze dell’ordine, con i carabinieri di Pioltello e la Squadra Mobile di Milano giunti per le indagini. Sul posto anche il pm Paolo Storari, noto per il suo coinvolgimento in indagini delicate su casi di criminalità organizzata e sulle dinamiche interne alle curve calcistiche della città, incluse quelle recenti legate agli ultras del Milan e alla controversia con Fedez.

                L’omicidio di Bellocco, legato a una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti e influenti del Sud, radicate da tempo anche nel Nord Italia, potrebbe avere conseguenze ben oltre l’ambiente della curva interista. La presenza di Marco Ferdico, Matteo Norrito e Mauro Nepi, i volti noti della Curva Nord dell’Inter, sul luogo dell’omicidio, aggiunge ulteriore tensione a una situazione già esplosiva, che rischia di innescare una guerra tra le fazioni della curva e di scatenare ritorsioni violente da parte della criminalità organizzata.

                Cernusco sul Naviglio, quindi, è ora un epicentro di una vicenda che intreccia il mondo del calcio, la violenza ultras, e l’ombra della ‘ndrangheta, lasciando la comunità in un clima di paura e incertezza per ciò che potrebbe ancora accadere.

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