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In bilico tra spie, gaffe e sospetti: Pisani sempre più isolato dopo l’affaire Giambruno

Dagli attriti tra Digos e squadra mobile ai misteri irrisolti sull’auto dell’ex compagno della premier, passando per un ricettatore mai davvero identificato: il numero uno della Polizia è finito in un cono d’ombra. Gli ambienti di governo parlano ormai apertamente di un possibile avvicendamento. Anche l’intelligence prende le distanze.

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    Fino a pochi mesi fa sembrava l’uomo giusto al posto giusto. Oggi, invece, Vittorio Pisani, capo della Polizia, si muove su un terreno che ogni giorno diventa più scivoloso. L’affaire legato all’auto di Andrea Giambruno, con due uomini sospetti a trafficare nei pressi della vettura dell’ex compagno della premier, ha aperto una crepa che non si è più richiusa. E che, anzi, si è allargata fino a diventare una voragine nella fiducia tra Pisani e i vertici istituzionali.

    A Palazzo Chigi il gelo è evidente. Le rassicurazioni iniziali hanno lasciato spazio a un sospetto costante e a una crescente insofferenza per la gestione dell’intera vicenda. Anche al Viminale, formalmente responsabile della nomina, si è raffreddata la stima nei confronti del superpoliziotto che un tempo sgominava i Casalesi. E persino Matteo Salvini, che lo aveva sostenuto con forza per il ruolo oggi ricoperto, ha smesso di fare scudo. Nessuno, ormai, è pronto a scommettere sulla sua permanenza.

    La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la confusione investigativa. L’intervento iniziale della Digos – come da prassi – è stato presto affiancato, o meglio sovrastato, dalla squadra mobile di Roma, subentrata con il benestare degli alti ranghi del Dipartimento di pubblica sicurezza. Da lì è partita una catena di equivoci, smentite, attribuzioni vaghe, riconoscimenti mancati e versioni contraddittorie che non hanno fatto altro che peggiorare il quadro.

    Uno dei due uomini visti vicino all’auto sarebbe stato identificato come agente dell’intelligence interna, ma poi scagionato sulla base dei dati delle celle telefoniche e dei pedaggi autostradali. L’altro? Un ricettatore di auto, forse. O forse no. Nessuna conferma solida. Solo l’ammissione di un «equivoco» e la sensazione, ancora oggi, che qualcosa non sia stato raccontato per intero.

    A far salire la pressione su Pisani non è solo il caso Giambruno. Anche altri episodi hanno contribuito a minarne l’autorevolezza. Come la richiesta, a pochi giorni dalla nomina, del riconoscimento dello status di vittima del dovere per un infortunio risalente a quasi trent’anni fa. O la concessione del medesimo beneficio al suocero, con una relazione firmata proprio da lui. Vicende legittime, forse, ma mal digerite in un momento di forti tensioni interne.

    E mentre il rapporto con alcune figure centrali dell’apparato – come l’ex dirigente dell’intelligence Giuseppe Del Deo – solleva più di una perplessità, si affaccia l’ipotesi di una “via d’uscita elegante”: un passaggio alla direzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Una mossa che eviterebbe il trauma politico di un terzo cambio al vertice della Polizia in poco più di due anni. Ma che certificherebbe, di fatto, la fine anticipata dell’era Pisani.

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