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Scuola, la Cassazione: punito il professore che ha dato del “cretino” a uno studente

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    Un insegnante non può insultare un alunno, nemmeno con una parola sola. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza che mette un punto fermo su un principio educativo tanto basilare quanto spesso dimenticato: chi insegna ha il dovere di misurare il linguaggio, sempre.

    La vicenda risale al 2019, quando un docente di una scuola superiore di Sassuolo, nel modenese, apostrofò uno studente con il termine “cretino”. Il preside dell’istituto, applicando il codice disciplinare previsto per i docenti pubblici, decise di sanzionare il professore con una censura scritta, una delle sanzioni formali previste per comportamenti inadeguati.

    Il docente non accettò il provvedimento e fece ricorso: prima al tribunale civile di Modena, poi alla Corte d’Appello di Bologna. Ma entrambi i gradi di giudizio confermarono la legittimità della sanzione. Così, l’insegnante si è rivolto in ultima istanza alla Cassazione, nella speranza che i giudici riconoscessero l’eccesso della punizione.

    Il suo argomento principale? Aveva pronunciato solo una parola – “cretino” – e si era trattato di uno sfogo momentaneo, in un contesto difficile. Inoltre, ha contestato l’idea che avesse insultato l’intera classe, dicendo anche “maiali”, affermazione che ha negato di aver mai pronunciato.

    Ma per la Cassazione il caso era chiaro: la sanzione disciplinare era corretta e proporzionata, e i giudici d’Appello avevano fondato la loro decisione esclusivamente sull’uso del termine “cretino”, senza aggiungere altri insulti. Una parola, insomma, era più che sufficiente.

    Secondo la sentenza, il comportamento del docente ha violato i doveri connessi alla funzione educativa. Il codice disciplinare prevede espressamente la censura per chi si allontana da quegli obblighi di rispetto e moderazione che fanno parte integrante del mestiere dell’insegnante.

    Il messaggio della Corte è netto: l’insegnante è un pubblico ufficiale, e il suo ruolo va esercitato con rigore, autocontrollo e senso del limite. Anche sotto stress, anche nei momenti difficili. Le parole contano, e quando a usarle è una figura di riferimento come un professore, pesano ancora di più.

    Un episodio come questo – piccolo all’apparenza – apre un dibattito più ampio sul clima nelle scuole e sui reciproci doveri tra docenti e studenti. Ma almeno una cosa è chiara: il rispetto non è negoziabile. E comincia dal linguaggio.

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