Cinema

Clint Eastwood e il suo film da dimenticare: “Uno dei peggiori mai realizzati”

Nel 1958, Clint Eastwood recitò in L’urlo di guerra degli Apaches, western sfortunato diretto da un esordiente mai più pervenuto. Una pellicola talmente mediocre che l’attore, anni dopo, la definì “uno dei peggiori film mai girati”. Prima di diventare leggenda, anche lui ha dovuto scavare piscine. Letteralmente.

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    Prima di essere il Biondo, prima di diventare l’ispettore Callaghan, prima ancora di reinventarsi regista due volte premio Oscar, Clint Eastwood era un giovane attore sconosciuto che arrancava tra piccoli ruoli, provini andati male e mestieri qualunque. Taglialegna, istruttore di nuoto, scavatore di piscine, benzinaio: tutto pur di arrivare a fine mese e, magari, conquistarsi una chance sotto i riflettori.

    Quella chance arrivò, sì, ma non subito con Sergio Leone. Prima, il buon Clint fu costretto a passare anche attraverso un piccolo calvario professionale: un film che lui stesso avrebbe definito “uno dei peggiori mai realizzati”. Titolo: L’urlo di guerra degli Apaches (Ambush at Cimarron Pass, 1958).

    Un western girato per la Twentieth Century Fox da un certo Jodie Copelan, montatore promosso alla regia per l’occasione. Fu anche la sua ultima regia. Per chi lo ha visto – pochi, fortunatamente – si tratta di un filmaccio polveroso, banale, mal scritto, con battute da fotoromanzo e una recitazione forzata, in cui Eastwood interpretava un giovane soldato scontroso con il comandante. L’unico dettaglio da segnalare? Il nostro Clint odiava il suo stesso personaggio. E lo disse chiaramente.

    Lo riporta Marcello Garofalo nel suo saggio Il cinema è mito: Eastwood, interpellato su quella pellicola anni dopo, l’ha definita senza mezzi termini “uno dei film più brutti mai girati”. Certo, non c’è una data precisa, e magari oggi – a 94 anni suonati – Eastwood ci riderebbe su. Ma resta un documento che racconta meglio di mille biografie quanto la strada verso la gloria di Hollywood possa iniziare tra cactus, cavalli imbizzarriti e copioni imbarazzanti.

    Prima di quel tonfo, Clint aveva già debuttato nel 1954 in un filmaccio horror, La vendetta del mostro di Jack Arnold, sequel del più celebre Il mostro della laguna nera. Anche lì, una particina irrilevante. Ma l’occasione vera, quella che cambia tutto, arrivò nel modo più imprevedibile: da una ragazza dell’agenzia William Morris che segnalò il suo nome a Sergio Leone, in cerca di un volto americano per il suo spaghetti western. Fu così che nacque la Trilogia del dollaro (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo).

    In America nessuno ci puntava. Leone aveva intuito tutto. Scoprì Eastwood, gli tolse la sigaretta di bocca e gli mise in mano il mito. Quella faccia impassibile, quel ghigno storto, quel modo di sparare prima ancora di parlare: nasceva una leggenda del cinema. E Hollywood, dopo averlo ignorato, capì di aver dormito troppo a lungo.

    Ma L’urlo di guerra degli Apaches resta lì, come una macchia su una carriera immacolata. E non è nemmeno disponibile in streaming: chissà se per scelta artistica o per pudore collettivo. Ma in fondo, anche questo è cinema. È gavetta. È leggenda che si costruisce sul ridicolo, prima che sull’epica.

    E se oggi Clint può permettersi di fare film come Gran Torino, Million Dollar Baby o Cry Macho, è anche perché un giorno, nel deserto, qualcuno gli fece urlare parole insensate contro indiani finti, in un film che nessuno voleva ricordare.

    Lui per primo.

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