Personaggi e interviste
“Abbiamo bisogno di canzoni che raccontino il nostro tempo”: l’intervista di Joan Baez a Milano
Vera e propria icona della musica e dell’attivismo, famosa anche per la sua relazione con Bob Dylan, Joan Baez è tornata a Milano per presentare la sua nuova raccolta poetica, in occasione della XXVI edizione de La Milanesiana. Durante l’incontro ha parlato della genesi del libro, del rapporto tra poesia, musica e impegno politico e della necessità urgente di nuovi inni che raccontino la realtà contemporanea.
84 anni portati benissimo, appare elegante anche indossando un paio di jeans, una maglia nera e uno scialle azzurro. La Baez è a Milano per presentare Quando vedi mia madre, chiedile di ballare, pubblicato dalla casa editrice di Elisabetta Sgarbi, La Nave di Teseo. Dopo l’addio alle scene avvenuto nel 2018, la voce che ha segnato intere generazioni continua a raccontare il mondo attraverso la scrittura. “Questo libro non è nato con intenzioni politiche,” spiega, “ma è inevitabile che la politica ci raggiunga. Viviamo tempi difficili, soprattutto negli Stati Uniti.” Nel libro, ricco di poesie intime e riflessioni autobiografiche, mescola ricordi personali e omaggi a grandi figure della musica come Jimi Hendrix, Leonard Cohen e – ovviamente il suo ex: Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan.
Poesia, terapia e identità
La scrittura, per la Baez, rappresenta anche un processo di carattere terapeutico. “Mi è stato diagnosticato un disturbo di personalità multipla. Alcune poesie sembrano scritte da altri ‘me’. È un libro molto personale”. Le poesie raccolte arrivano da decenni diversi e sono state recuperate da vecchi computer e appunti sparsi. Scrivere versi le ha dato una libertà nuova: “La poesia è senza struttura, come me. È stata la mia via per esprimere ciò che la musica non riusciva più a dire.”
Ancora tanta voglia di cantare
Mentre i giovani di oggi scoprono la sua musica e il suo impegno grazie al biopic A complete unknown su Bob Dylan, l’artista 84enne non ha di certo premura di smettere nel far sentire la propria voce attraverso le canzoni e la scrittura. Ad un certo punto della conferenza stampa, inizia addirittura a cantare One in a million, il recente brano scritto da Janis Ian.
L’intervista
Prima di lasciare spazio alle domande ci tiene a fare una precisazione: “Ormai, ogni volta che dico qualcosa, sento il bisogno di contestualizzarla: il contesto è il disastro in cui versa il mio Paese, che a mio avviso lascia ben poca speranza. Detto questo, possiamo parlare di qualsiasi cosa”. Chiara, semplice e diretta.
Con questo libro ha scelto di raccontare la tua storia attraverso delle poesie: perchè questa scelta?
Si tratta di poesie scritte anche molto tempo fa, che ho messo insieme recuperandole in giro un po’ dappertutto: rovistando nei cassetti, in soffitta, cercandole anche presso l’ufficio della mia assistente. Alcune non le trovavamo più. Un giorno la mia assistente ha rimesso in funzione un vecchio computer di 40 anni fa che conteneva alcuni scritti: ha dovuto trascriverli a mano perchè non riusciva a scaricarli.
Che differenza c’è tra scrivere poesie rispetto alle canzoni?
Dentro di me convivono molte persone, alcune anche più giovani di me. Usare il linguaggio della poesia mi ha dato una grande libertà. Si tratta di una forma libera, senza struttura… e io non sono brava con le strutture.
Pensa che la poesia possa essere sorella della musica e dell’attivismo?
Ho iniziato a scrivere poesie da postare sui social. Diverse da quelle contenute nel libro: sono tutte politiche. E a proposito delle canzoni… la gente si chiede: “Quando qualcuno scriverà di nuovo Blowin’ in the wind o un’altra Imagine?”. E io rispondo: non succederà. Dovrà esserci qualcos’altro, figlio del nostro tempo, anche se non so da chi. Ci sono tante belle canzoni oggi, ma ciò che desideriamo è un inno. Una canzone di protesta che si trasformi in un inno potente come è stata We shall overcome. Tutti potevano cantarla, riusciva a dare la sensazione di essere tutti uniti e potenti.
Come si rapporta a tutto quello che sta succedendo nel mondo?
Ho un po’ di problemi a dormire, perché le notizie che arrivano sono ogni giorno sempre più disgustose. Ho un po’ di problemi nel dormire perchè mi capita di svegliarmi a pensare nel cuore della notte, chiedendomi se stia davvero succedendo. Ma in generale, la mia salute e il mio spirito stanno bene.
La poesia e la musica possono essere ancora considerati strumenti di lotta e liberazione? Oppure quella stagione è da considerare finita per sempre?
Al contrario: quella stagione è appena cominciata! Abbiamo assolutamente bisogno di canzoni che parlino di questo tempo. Forse serve un talento profondo come quello di Bob o di Jimi. Nel frattempo, sfruttiamo quello che abbiamo. Anche i giovanissimi manifestanti per il controllo delle armi in Florida cantano vecchie canzoni di Dylan, perché non c’è nulla che le abbia sostituite.
La sua musica è sempre stata una finestra aperta sul mondo, rappresentando appieno il suo attivismo. Secondo lei, oggi gli artisti dovrebbero ancora assumere un ruolo politico o sociale?
Certamente, l’ho sempre pensato! Alcune grandi opere nascono da chi non è politico… ma per me le due cose sono sempre state legate.
Lei è stata una grande amica del giornalista Furio Colombo, scomparso lo scorso gennaio: che ricordo conserva di lui?
Ogni volta che sono venuta in Italia non ho mai perso occasione di incontrare Furio. L’ultima volta che abbiamo parlato è stato sul fascismo e sulla situazione globale. Mi ha detto: ‘Joni, sono nato nel fascismo e morirò nel fascismo’. Questo era Furio… e mi manca davvero molto.