Televisione

Bruno Barbieri e gli hotel da incubo: «In un 5 stelle da 600 euro non cambiarono neanche il copriletto macchiato»

Barbieri svela i retroscena del programma e le sue esperienze da viaggiatore: dalle richieste assurde ai test del “cliente maleducato”, fino ai soggiorni più bizzarri, tra San Francisco, Firenze e Bogotà.

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    Bruno Barbieri non ha intenzione di fermarsi. Dopo sette anni al timone di 4 Hotel, il format che mette alla prova albergatori e personale in tutta Italia, lo chef romagnolo è pronto a tornare in tv con nuove puntate, registrate di recente anche nelle Marche. A Recanati, accolto in piazza Leopardi come una star, ha confermato che l’obiettivo dello show resta lo stesso di sempre: «Ripulire l’hotellerie da chi non è capace di fare questo mestiere. E già in questi anni, dal 2018 a oggi, le cose sono cambiate tantissimo».

    Sulle pagine di Gente, Barbieri ha raccontato i retroscena del programma: «Non c’è finzione. Gli imprevisti succedono sempre, anche se sanno che arrivo. E i test del cliente maleducato, con richieste assurde e improvvise, servono soprattutto a loro per migliorarsi».

    Non mancano gli aneddoti. Uno dei più clamorosi riguarda un hotel di lusso a Firenze: «Una volta, alle 11 e mezza di sera, ho chiesto una camomilla. L’albergo era bellissimo, 600 euro a notte. Per sbaglio la verso sul copriletto e chiamo in reception. Mi rifanno la camomilla, ma mi dicono che non possono cambiare il copriletto perché non ne avevano un altro di ricambio. Inaccettabile!».

    Ma non si tratta solo di esperienze televisive. Da viaggiatore instancabile, Barbieri si è imbattuto in situazioni da film. «Trent’anni fa, con un amico a San Francisco, finimmo in un albergaccio da 30 dollari a notte. Aprii la finestra e dietro c’era un muro. Spostai il letto e sotto trovai una scarpa rossa col tacco e una catena d’oro. Tutta la notte il campanello suonava. Morale? Eravamo finiti in un albergo a ore».

    Più recente invece la disavventura in Colombia: «A Bogotá arrivo di sera con la mia prenotazione in mano e scopro che si erano rivenduti la mia stanza. Ho fatto una scenata pazzesca: “Lei non sa chi sono io!”. Alla fine mi hanno mandato in un altro hotel e non ho pagato nulla».

    La vita on the road gli ha insegnato che la leggerezza è la chiave. «Viaggiare con le valigie è una rottura di palle mostruosa. Porto il minimo indispensabile e compro quello che mi serve in loco. Per viaggiare bastano tre cose: una buona carta di credito, una buona assicurazione e un telefono. Tutto il resto viene da sé».

    Lo chef sorride, racconta e provoca, ma sotto c’è sempre la sua filosofia: viaggiare significa scoprire, e per gli hotel la regola è la stessa. Anche dietro il lusso, se manca la cura, la verità prima o poi salta fuori.

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