Calcio

Roberto Baggio e quel gesto da eroe silenzioso: “Non avevo il coraggio di mettere in banca lo stipendio, mi vergognavo”

Nel 1985, dopo un infortunio che poteva distruggerlo, Baggio trovò la forza di ripartire. Ma il suo orgoglio lo portò a non incassare lo stipendio: “Non giocavo, non me lo meritavo”. Sei buste ferme in un cassetto, simbolo di un’etica e di un’anima che pochi altri campioni hanno avuto.

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    Il 1985 segna l’anno in cui Roberto Baggio, a soli 18 anni, esplode con la maglia del Lanerossi Vicenza e si conquista il sogno di ogni calciatore: la Serie A. La Fiorentina investe su di lui quasi 3 miliardi delle vecchie lire, una cifra record per l’epoca. Ma quello che sembra un fiabesco inizio si trasforma ben presto in un incubo: il 5 maggio, in un contrasto di gioco contro il Rimini, Baggio si rompe il legamento crociato anteriore e il menisco del ginocchio destro. Un infortunio che, all’epoca, poteva chiudere una carriera prima ancora che cominciasse.

    La Fiorentina avrebbe potuto tirarsi indietro. E invece no: decise di aspettarlo. Un atto di fiducia che Baggio non ha mai dimenticato. Così come non ha mai dimenticato la sua gratitudine verso la città e i tifosi, che lo accolsero e lo sostennero anche quando il campo era solo un miraggio.
    In quel periodo difficile, in cui la fede buddista lo aiutò a trovare un po’ di pace e di forza, Baggio si chiuse in sé stesso. “Non mi interessava altro, volevo solo tornare a giocare. Stare bene, perché senza salute non avrei potuto fare niente”, ha raccontato nel podcast ‘BSMT’ di Gianluca Gazzoli.
    La rivelazione più sorprendente, però, riguarda proprio lo stipendio. Sei mesi di assegni mai incassati, conservati gelosamente in un cassetto. “Andavo a ritirare la busta, ma non avevo il coraggio di metterla in banca perché non giocavo e mi vergognavo”, confessa Baggio, con una semplicità che lascia spiazzati.

    Un gesto che, oggi come allora, racconta molto di più di qualsiasi gol o assist: la dignità di un ragazzo che si sentiva debitore verso la maglia che indossava, anche se in quei mesi non poteva onorarla sul campo.
    La Fiorentina, però, a un certo punto volle sapere che fine avessero fatto quei soldi. “Poco prima di Natale mi chiama il segretario e mi chiede dove fossero gli assegni. Io gli rispondo che li avevo in casa, sopra un cassetto all’entrata. Lui mi fa: ‘Ma cosa aspetti a metterli in banca?’. E io: ‘Adesso andrò, andrò…’”, racconta sorridendo. Ma dietro quell’imbarazzo si nasconde un’etica profonda, un senso di rispetto raro, soprattutto nel mondo di oggi.

    Roberto Baggio non è stato solo un fuoriclasse del pallone. È stato – e resta – un esempio di umiltà e riconoscenza. E forse è anche per questo che, ancora oggi, il “Divin Codino” è un simbolo che va oltre il calcio, un’icona capace di toccare le corde più intime dell’animo di chiunque lo abbia visto giocare.

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