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Televisione

Mediaset rivoluziona i palinsesti: il Grande Fratello sarà (forse) l’unico reality del 2026

Mediaset sarebbe pronta a puntare tutto sul Grande Fratello per la prossima stagione, tagliando altri reality. Due le ipotesi allo studio: una maratona unica da settembre a maggio, oppure due edizioni distinte.

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    Venticinque anni dopo il debutto che cambiò per sempre il panorama televisivo italiano, il Grande Fratello si prepara a riscrivere ancora una volta le regole del gioco. Mediaset starebbe valutando una vera e propria rivoluzione per la prossima stagione: il GF potrebbe essere l’unico reality show confermato in palinsesto per il 2026. Un cambio di rotta che farebbe piazza pulita di altri titoli storici come L’isola dei famosi o La talpa, e che segnerebbe una nuova centralità per il programma ideato sulla scia dell’esperimento sociale olandese di fine anni Novanta.

    L’indiscrezione non è ancora ufficiale, ma arriva in un momento chiave: tra poco più di un mese, infatti, a Cologno Monzese si riunirà il tavolo che deciderà i palinsesti 2025-2026, e tutto lascia pensare che il Biscione voglia puntare forte su ciò che, nonostante le critiche, continua a garantire ascolti stabili e conversazione social.

    Secondo le voci di corridoio, sarebbero due le ipotesi sul tavolo. La prima prevede un’edizione lunghissima, da settembre a maggio: una maratona di nove mesi, sul modello dei reality internazionali più estesi, che trasformerebbe il Grande Fratello in un appuntamento permanente nel palinsesto Mediaset. La seconda, più suggestiva, coinciderebbe con i 25 anni del format: due edizioni distinte, di cui una speciale “gold”, pensata per celebrare l’anniversario e ripercorrere la storia del programma con contenuti e ospiti ad hoc.

    Per ora nessuna conferma ufficiale sulla conduzione, ma il nome più accreditato resta sempre lui: Alfonso Signorini, ormai volto iconico del GF, forte di una conduzione solida, di un legame stretto con il pubblico e di un ruolo sempre più centrale anche nei meccanismi autoriali dello show.

    Il Grande Fratello resta uno dei fenomeni più longevi della TV generalista. Era il 2000 quando un gruppo di sconosciuti venne chiuso per la prima volta in una casa sorvegliata 24 ore su 24. Un esperimento sociale diventato col tempo un prodotto pop, capace di rinnovarsi attraverso mille volti e mille storie. Dal trionfo della prima edizione con Cristina Plevani alla stagione dei vip, passando per scandali, flirt, amicizie nate e finite, nomination memorabili e momenti entrati nel lessico televisivo nazionale, il GF ha scritto una pagina fondamentale dell’intrattenimento italiano.

    Non è un caso che, nonostante le critiche e una certa stanchezza del formato percepita in alcune edizioni, il reality continui a macinare dati di ascolto più che buoni, in particolare nelle puntate del lunedì e del giovedì sera, e sia costantemente ai vertici delle tendenze social. L’arrivo di piattaforme come Instagram e TikTok ha solo rafforzato la sua capacità di generare dibattito e fidelizzare il pubblico più giovane, che si ritrova nei confessionali dei gieffini come un tempo si ritrovava nei diari di scuola.

    Per Mediaset, insomma, puntare tutto sul Grande Fratello significa fare una scelta conservativa ma strategica: mantenere saldo l’unico reality che, tra alti e bassi, non ha mai davvero mollato il colpo. E che, nella stagione della nostalgia e dei revival, può giocarsi la carta dell’affetto intergenerazionale. Dopotutto, chi non ha mai visto almeno un’edizione del GF?

    Intanto, a Cologno si valuta. E tra settembre e maggio, tra casa, giardino, opinionisti e dirette fiume, il GF potrebbe davvero diventare una specie di “telegiornale delle emozioni” con residenza fissa nel palinsesto. Con buona pace di chi pensava che i reality fossero finiti.

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      Televisione

      Mike Bongiorno e la sua famiglia da quiz: tra salami, crisi di coppia e salme rubate

      A 101 anni dalla nascita di Mike Bongiorno, il figlio Nicolò ci porta dietro le quinte del mito: non solo “allegria!” ma anche lacrime, momenti familiari surreali e… abbondanza di culatelli. Dal papà affettuoso al marito in crisi, fino all’incredibile furto della salma: ecco il lato inedito dell’uomo che ha insegnato l’italiano agli italiani. Un racconto tenero, bizzarro e profondamente umano.

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        Dimenticate per un attimo il conduttore occhialuto sempre perfetto, in giacca e cravatta. Nicolò Bongiorno ricorda un padre affettuoso, un po’ bambino, capace di sollevarlo in braccio per un abbraccio tenero o di trasformare la cena in una sagra gastronomica: «Per anni abbiamo mangiato torte e culatelli regalati dai concorrenti dei quiz!». Il prosciutto cotto Rovagnati? Un must a tavola. Altro che dieta mediterranea!

        Università no, quiz sì: il maestro (involontario) d’italiano

        Nicolò parla anche del cruccio mai confessato di Mike: non aver completato gli studi. Eppure, l’uomo che non possedeva una laurea è diventato l’insegnante più famoso d’Italia. Un paradosso da manuale: “Ha insegnato l’italiano a milioni di italiani e senza neanche una tesi!”. Se non è ironia questa…

        Crisi con Daniela? Risolta con un bambino

        Come ogni coppia che si rispetti, anche Mike e Daniela hanno avuto il loro momento “Dallas”. «Quando avevo sei anni c’è stata una brutta crisi», rivela Nicolò. E come si risolve una crisi coniugale negli anni ’80? Con la nascita di un altro figlio, ovviamente! Leonardo, il secondogenito, è diventato il simbolo della pace familiare. Altro che terapia di coppia!

        L’uomo più fermato d’Italia: camminare con Mike era come accompagnare il Papa

        «Ogni passeggiata era un pellegrinaggio», racconta Nicolò. Mike non diceva mai no a un fan. Selfie, strette di mano, battute, dediche: sembrava che conducesse La Ruota della Fortuna anche dal panettiere. Viaggiare con lui? Un tour guidato permanente con tappa obbligata ad ogni sguardo riconoscente.

        Un addio surreale: furto della salma e prete-investigatore

        Ma il colpo di scena arriva dopo la morte: la salma di Mike viene trafugata. Una storia assurda, degna di una fiction trash: minacce, ricatti, sciacalli. A risolverla? Don Mauro Pozzi, il parroco trasformatosi in detective per amore del conduttore. Alla fine, missione compiuta senza pagare un euro. Ora Mike riposa in pace. Letteralmente.

        Un’eredità tra tv e aiuole: “Intitolategli almeno una via, dai!”

        Nicolò conclude con un desiderio: vedere il nome di suo padre su una via, o almeno su un’aiuola. Sarebbe il minimo sindacale per chi ha cambiato la televisione italiana con una parola sola: Allegria!

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          Televisione

          Lo sbarco in USA degli inconsapevoli Beatles secondo Martin Scorsese (trailer)

          Il documentario prodotto da Martin Scorsese – in onda sulla piattaforma Disney+ – racconta l’arrivo americano dei Fab Four tra isteria collettiva e consapevolezze amare. Un amarcord in bianco e nero che ha ancora molto da dirci, anche oggi.

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            7 febbraio 1964: i quattro Beatles atterrano all’aeroporto JFK. Il presidente Kennedy è stato assassinato da pochi mesi. L’America risulta scossa, vulnerabile, affamata di speranza. In quel clima di lutto e incertezza, quattro ragazzi di Liverpool si accingono a cambiare tutto. E lo fanno con la leggerezza di chi non sa ancora di rappresentare una leggenda.

            È da quel momento che parte Beatles ’64, il documentario diretto da David Tedeschi e prodotto da Martin Scorsese (con Paul McCartney e Ringo Starr come coproduttori), disponibile su Disney+. Un viaggio tra immagini d’archivio rare, interviste inedite e dietro le quinte pieni di verità.

            L’isteria beatlemania

            73 milioni di spettatori per l’Ed Sullivan Show. Una cifra da capogiro, mai vista prima. Le fan impazziscono, i negozi vendono tutto con la scritta “Beatles” sopra. È la nascita del mito. Eppure, nel documentario, quello che colpisce non è solo il successo, ma il contrasto tra la potenza dell’evento e la leggerezza dei protagonisti. Paul, John, George e Ringo appaiono rilassati, ironici, giovanissimi. Rispondono a tono alle provocazioni dei giornalisti, ridono, leggono il giornale in hotel. Non c’è distanza tra la superstar e il ragazzo normale. Il loro segreto? Non prendersi troppo sul serio.

            Il sogno americano… visto da dietro le tende

            Eppure c’è un sottotesto. Paul lo dice chiaramente: “Pensavamo che l’America fosse la terra della libertà. Poi siamo arrivati…”. Le fan sono quasi tutte bianche, borghesi, con lo stesso taglio a carré. L’integrazione è una parola lontana. I Beatles, con le loro cover di Little Richard e Smokey Robinson, portano la musica afroamericana al grande pubblico, ma lo fanno sbiancandola involontariamente. È il compromesso dell’epoca. E Lennon, proverbialmente inquieto e fine osservatore, avverte: “C’è troppa violenza in questo paese”. A saper come andrà a finire, suonano come parole in codice. O come una premonizione in grado di mettere i brividi…

            Una storia che parla (ancora) a noi

            Il documentario emoziona, diverte, fa riflettere. Fa tenerezza vedere fan che regalano libri di scienza, fa sorridere la fuga a Harlem per sentirsi “invisibili”, fa pensare il contrasto tra le urla delle ragazzine e le giacche e cravatte sul palco. Un mondo che non c’è più… e che pure ha lasciato tracce ovunque. Il tocco di un maestro come Scorsese si avverte nella scelta dei materiali e nel ritmo. Non è solo una celebrazione, è una lente sulla società di ieri per capire quella di oggi. Ed è bellissimo che a raccontarla siano gli stessi protagonisti, oggi ottantenni, con la stessa voglia di suonare e dire la loro.

            Più di un documentario: un ponte tra generazioni

            Un invito a sedersi insieme sul divano, tra genitori e figli, tra fan di sempre e scettici curiosi. A parlare. A ricordare. O a scoprire per la prima volta chi erano quei quattro ragazzi che, senza saperlo, hanno insegnato al mondo a sognare (e a scuotere la testa a ritmo).

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              Televisione

              Scoppia la polemica sull’Isola: Mario Adinolfi contro le famiglie arcobaleno

              Durante l’ultima puntata de L’Isola dei Famosi, Mario Adinolfi ha scatenato una bufera mediatica con una frase controversa: “Due papà non sono una famiglia”. Le sue parole hanno provocato una dura reazione tra i naufraghi e acceso il dibattito sulle famiglie omogenitoriali. Un confronto che va oltre l’intrattenimento e tocca temi profondamente attuali.

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                Non solo noci di cocco e strategie occulte: L’Isola dei Famosi si trasforma, a sorpresa, in un’arena di confronto sociale. A scatenare la polemica è stato Mario Adinolfi che, durante una conversazione tra i naufraghi, ha espresso la sua visione conservatrice sulla famiglia. “Due papà non sono una famiglia”, ha affermato, sottolineando come, secondo lui, solo un padre e una madre possano rappresentare una genitorialità “completa”. Adinolfi ha aggiunto:

                “L’amore può arrivare da chiunque ma i ruoli di madre e padre non sono intercambiabili. Un bambino, crescendo, si chiederà comunque chi è il suo vero padre.”

                Le reazioni dei concorrenti: “Essere genitori significa esserci”

                Le dichiarazioni di Adinolfi non sono rimaste senza risposta. Il primo a esporsi è stato Mirko Frezza, che ha risposto con forza: “Se cresco un bambino con amore, quel figlio è mio. Non servono legami di sangue. Tu parli di onestà? Ma per favore!”

                Anche il comico Omar Fantini ha difeso le famiglie omogenitoriali: “Due padri che amano e crescono un figlio ogni giorno sono genitori a tutti gli effetti. La genitorialità non è una questione biologica.”

                A sostegno di questa visione si è unita anche Chiara Balistreri, condividendo la sua esperienza personale: “Sono cresciuta con un uomo che non è il mio padre biologico, ma che ha dato tutto per me. L’amore e la presenza quotidiana sono ciò che conta davvero.”

                Famiglia biologica o affettiva? Il dibattito travolge i social

                Le frasi di Adinolfi hanno immediatamente diviso l’opinione pubblica. Sui social, l’hashtag #IsolaDeiFamosi è diventato trending topic, con utenti divisi tra chi difende la famiglia “tradizionale” e chi sostiene una visione più inclusiva e contemporanea. Questo confronto riflette un dibattito sociale più ampio: che cos’è oggi una famiglia? È ancora legata alla biologia o si definisce attraverso l’amore, l’educazione e la cura?

                Una questione culturale più che mai aperta

                L’intervento di Adinolfi ha riportato al centro dell’attenzione un tema da anni al centro del dibattito politico e culturale in Italia: il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e dei loro diritti. Molti considerano oggi superata l’idea che solo un padre e una madre biologici possano garantire una crescita equilibrata a un bambino. Psicologi, educatori e numerose famiglie testimoniano che ciò che realmente conta è la qualità del legame, non la genetica.

                La televisione come specchio della società

                Il programma in questione, attraverso questa accesa discussione, dimostra che la televisione può ancora rappresentare uno specchio dei cambiamenti sociali in atto. Il dibattito su cosa definisca una famiglia è tutt’altro che chiuso. Ma una cosa è certa: la realtà è fatta di tante forme d’amore, tutte degne di rispetto e ascolto.

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