Benessere
Intolleranza al lattosio, un bicchiere di latte che divide l’Italia
Tra Nord e Sud il quadro è molto diverso: fino al 70% degli abitanti meridionali ha difficoltà a digerire il lattosio, mentre al Nord la percentuale scende al 20-30%.
Un gesto semplice, quotidiano: bere un bicchiere di latte. Per milioni di italiani, però, quel gesto si traduce in gonfiore, dolori addominali, disturbi intestinali. L’intolleranza al lattosio – l’incapacità di digerire lo zucchero naturalmente contenuto nel latte – non è una condizione marginale: secondo le società scientifiche interessa dal 40 al 50% della popolazione nazionale, con profonde differenze regionali.
Al Sud, dove storicamente le abitudini alimentari si sono basate meno sul consumo di latte fresco, la prevalenza può raggiungere il 70%. Al Nord, invece, scende intorno al 20-30%, un dato che riflette l’adattamento genetico delle comunità che per secoli hanno fatto del latte e dei suoi derivati una risorsa primaria.
Nel confronto internazionale, l’Italia si colloca in una fascia intermedia: l’intolleranza sfiora il 100% in molti Paesi dell’Asia orientale e dell’Africa, mentre resta rara nei Paesi scandinavi, dove l’incidenza non supera il 15%.
Tre forme, sintomi diversi
Gli specialisti distinguono tre tipologie di intolleranza:
- Primaria, la più diffusa, legata alla genetica e progressiva dopo lo svezzamento;
- Secondaria, conseguenza di malattie o trattamenti che danneggiano l’intestino, come infezioni, celiachia o chemioterapie, spesso reversibile;
- Congenita, rarissima, presente fin dalla nascita.
Quando il lattosio non viene digerito nell’intestino tenue, arriva al colon, dove i batteri lo fermentano producendo gas e richiamando acqua. Ne derivano i sintomi tipici: gonfiore, dolori, diarrea o, più raramente, stitichezza. Alcuni pazienti riportano anche cefalee e stanchezza, ma il legame diretto non è sempre provato.
Diagnosi: tra scienza e false credenze
Il metodo di riferimento è l’H₂ Breath Test, che misura la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata dopo aver assunto lattosio. Sicuro e non invasivo, consente di avere una diagnosi certa. A questo si può affiancare un test genetico per individuare la predisposizione. Molto meno affidabili, invece, test “alternativi” non validati scientificamente che rischiano solo di portare a esclusioni alimentari ingiustificate.
Come convivere con l’intolleranza
Non esiste una cura definitiva, ma la dieta è uno strumento efficace di gestione. Ogni persona ha una soglia individuale di tolleranza: molti riescono a consumare piccole quantità di lattosio senza problemi, soprattutto se assunte insieme ad altri alimenti.
Le soluzioni sono numerose:
- Latte delattosato, nutrizionalmente identico all’originale, solo più dolce;
- Formaggi stagionati, quasi privi di lattosio;
- Yogurt e fermentati, meglio tollerati grazie ai batteri che predigeriscono lo zucchero;
- Integratori di lattasi, da usare occasionalmente;
- Bevande vegetali fortificate, a base di soia, avena o riso, arricchite con calcio e vitamina D.
Attenzione però a non eliminare indiscriminatamente tutti i latticini: si rischia di ridurre l’apporto di calcio e vitamina D, fondamentali per la salute delle ossa.
Boom del mercato “lactose-free”
L’intolleranza non è solo un tema di salute, ma anche un fenomeno economico. Secondo i dati Nielsen, nel 2023 l’83% delle famiglie italiane ha acquistato almeno un prodotto delattosato. Il fatturato del settore ha quasi raggiunto i due miliardi di euro, con una crescita del 44% negli ultimi tre anni.
Curiosamente, molti consumatori scelgono questi prodotti pur non essendo intolleranti, convinti che siano più leggeri o salutari. Un’idea spesso infondata, ma che ha spinto le aziende a moltiplicare l’offerta: non solo latte e yogurt, ma anche gelati, biscotti e prodotti da forno.
Miti da sfatare
Numerosi i falsi miti ancora diffusi: che il latte di capra sia privo di lattosio (in realtà ne contiene quanto quello vaccino), che bollire il latte elimini lo zucchero, o che i prodotti delattosati siano automaticamente “light”. L’intolleranza non va confusa con l’allergia alle proteine del latte, una condizione diversa e più grave.
Un bicchiere di latte, dunque, può diventare il simbolo di un cambiamento culturale e sociale. Non più alimento universale, ma cartina al tornasole di un’Italia divisa tra Nord e Sud, tra tradizione e innovazione alimentare, tra bisogni di salute e scelte di mercato. Con un messaggio chiaro: l’intolleranza al lattosio si può gestire, ma serve consapevolezza, corretta informazione e nessun cedimento ai luoghi comuni.