Sonar: tra suoni e visioni

Tra rock e blues, la doppia lezione di musica da parte del Professor Clapton

Eric Clapton e il blues che non dimentica: stile inglese e anima a stelle e strisce sul palco di Milano per due show consecutivi.
Il Forum di Assago diventa cattedrale sonora: il maestro della chitarra racconta mezzo secolo di musica senza una parola di troppo.

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    Milano ha accolto un Eric Clapton in stato di grazia, nonostante i suoi 80 anni portati con eleganza e sobrietà, in due serate che sembrano uscire dal vinile più prezioso della sua collezione. Il chitarrista inglese ha offerto al Forum di Assago un doppio concerto che è stato molto più di un semplice live: un viaggio attraverso la sua storia, tra raffinatezza rock d’Oltremanica e blues dal sapore polveroso del Delta del Mississippi.

    In un equilibrio costante tra compostezza britannica e ferocia emotiva, Clapton ha suonato come chi sa che il vero spettacolo non ha bisogno di artifici ma solo di verità. Alla sua età e dopo tre date consecutive alla Royal Albert Hall, “Slowhand” ha dimostrato che l’eleganza può anche gridare. Con la sua Fender Stratocaster tra le mani, ha guidato una band di veterani in un flusso musicale senza interruzioni, lasciando che fosse il suono a raccontare ciò che le parole non riescono ad esprimere.

    80 voglia (ancora) di Eric

    Tre minuti prima dell’orario ufficiale, le luci si spengono. Il pubblico del Forum trattiene il fiato, sapendo bene cosa presagisce quel buio. Nessun annuncio, nessuna introduzione. Sul palco sale Clapton, completo blu notte, sguardo basso, passo deciso. Un vero e proprio boato lo accoglie, come si confà ad una leggenda come lui. Al seguito una formazione collaudata: le storiche Sharon White e Katie Kissoon ai cori, il fedele Nathan East al basso, Tim Carmon e Chris Stainton alle tastiere, Doyle Bramhall II alla chitarra ritmica (ma che in alcuni momenti sfodera assoli degni del “capo”) e Sonny Emory alla batteria. Il primo accordo di “White Room” rompe il silenzio come un tuono controllato. È subito piena potenza: la voce della chitarra si impone, scolpisce lo spazio, il Forum si trasforma in una sala d’ascolto collettiva. Ogni nota è nitida, ogni pausa ha un senso.

    Blues autentico, senza fronzoli

    Il secondo brano è già una dichiarazione di intenti: “Key to the Highway” immerge tutti nelle radici afroamericane del blues. Il suono arriva ai presenti caldo, viscerale, costruito su intrecci di strumenti che si conoscono da anni. Clapton dirige senza mai imporsi, ogni musicista ha il proprio momento di gloria. La band diventa un unico corpo sonoro che respira, pulsa, cammina insieme. Poi arrivano le pietre miliari: “I’m Your Hoochie Coochie Man” e la sempreverde “Sunshine of Your Love”, che farebbe saltare in piedi chiunque. Tra il pubblico, si scorgono padri con figli, fan dai capelli bianchi e dalle stinte t-shirt, ragazzini incantati: l’effetto Clapton supera generazioni, mode e algoritmi.

    Il set acustico, magia unplugged

    Clapton si siede, imbraccia l’acustica e il concerto cambia pelle. “Buona sera Milano”, dice con un sorriso appena accennato. La luce si fa più morbida, il suono più intimo. “Kind Hearted Woman Blues” e “Nobody Knows You When You’re Down and Out” non sono solo cover, ma confessioni. La sua voce, leggermente velata, vibra in una dimensione sospesa tra fragilità e verità. Quando arriva “Can’t Find My Way Home”, è Nathan East a cantare, in falsetto. Una scelta azzeccata che rinfresca l’atmosfera, preludio perfetto alla commovente “Tears in Heaven”, dedicata alla scomparsa di suo figlio Conor. Non c’è enfasi, non c’è pietà: solo una melodia che racconta un dolore privato diventato universale. L’arrangiamento quasi reggae dona un tocco di leggerezza, come un respiro nel mezzo del pianto.

    Terzo atto: ritorno all’elettrico e dichiarazioni mute

    Clapton cambia ancora. Lo si vede imbracciare una chitarra colorata di nero, bianco, rosso e verde, chiaro riferimento alla bandiera palestinese. Un gesto silenzioso, eppure potentissimo, che il pubblico accoglie con un boato. Non servono proclami: è la musica a parlare, come sempre. “Badge” riporta il Forum nei territori dei leggendari Cream, con una lunghissima “Old Love” il tempo sembra fermarsi. Il brano si dilata, diventa liquido, Carmon si prende la scena con un assolo alle tastiere che ricama armonie sull’aria. È un momento di pura alchimia, vero ipnotismo sonoro.

    Poi è il turno di “Cross Road Blues” e “Little Queen of Spades”, due inni al blues elettrico, con chitarra e tastiera che dialogano come vecchi amici al bar. L’intesa è perfetta, e l’effetto finale è di un’intensità quasi cinematografica.

    Il congedo: meno parole, più sostanza

    Quando parte “Cocaine”, il Forum esplode. Il brano, firmato da J.J. Cale (non mi stanco mai di ripeterlo… visto che ancora qualcuno pensa che l’abbia firmata Clapton…), viene eseguito con rigore e passione, senza eccessi, come se fosse la prima volta. La band si congeda per un attimo, poi torna per un bis tanto atteso quanto misurato: “Before You Accuse Me”. Clapton non saluta, non fa discorsi, ringrazia appena. Si limita a un cenno con la mano e a un sorriso: la musica ha parlato per lui.

    Una lezione di stile e sostanza

    Qualcuno esce dal Forum chiedendosi dove sia finita “Layla”. Ma Clapton, ormai da anni, ha deciso di lasciarla fuori dalle sue scalette. È una scelta da rispettare, come tutto il resto. Qualche incertezza alla voce, qualche fraseggio non perfetto… hanno reso il tutto ancora più umano ed espressivo. Chi cerca la spettacolarizzazione resta a mani vuote; chi ha ascoltato davvero, invece, torna a casa con una lezione nel cuore: quella di un uomo che ha fatto della sobrietà sonora una dichiarazione d’identità. Eric Clapton non è solo un chitarrista. È un cantastorie del suono, un testimone silenzioso di ciò che resta della buona musica, quando tutto il ciarpame passa.

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