Cronaca
Brusca libero: fine della sorveglianza per il boia di Capaci che uccise Falcone e Di Matteo
Il boss che azionò il telecomando della strage di Capaci e ordinò l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo ha finito la sorveglianza speciale. Dice: «Vorrei rendermi utile, ma è difficile». Le reazioni dei familiari delle vittime: «Non sarà mai una persona perbene».
Di buon mattino fa la spesa, poi rientra e sistema la casa. A tavola apparecchia sempre per una persona. Giovanni Brusca, il boss mafioso che azionò il telecomando dell’autostrada di Capaci uccidendo Giovanni Falcone e la sua scorta, e ordinò il rapimento e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, è ufficialmente un uomo libero. Dopo 25 anni in carcere come collaboratore di giustizia e quattro anni di libertà vigilata, Brusca ha finito anche la sorveglianza speciale.
Per anni ha vissuto sotto regole rigide: poteva uscire solo dopo le 8 del mattino e rientrare entro le 20, con l’obbligo di firmare in caserma. Ora anche questi vincoli sono stati revocati. Lo confermano fonti giudiziarie: la decisione è arrivata perché «l’impresa debitrice non ha più credito di terzi e mezzi finanziari propri per soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».
Brusca stesso lo ha ammesso: «Il paradosso è che questa libertà me l’ha donata il magistrato che ho ucciso, Giovanni Falcone», ripete al sacerdote lucano Marcello Cozzi, ex vicepresidente di Libera e componente della commissione vaticana contro le mafie. «Le norme sui collaboratori di giustizia ispirate da Falcone – spiega don Cozzi – si sono rivelate uno straordinario strumento per sconfiggere la mafia delle stragi».
Ma le reazioni delle vittime e dei loro familiari raccontano un’altra storia. «Il ritorno in libertà di Giovanni Brusca ci amareggia moltissimo», dice Tina Montinaro, vedova del caposcorta di Falcone. «So che la legge lo prevede, ma è come se non fosse successo niente».
Parole dure anche da Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, la moglie di Falcone: «La legge è questa, Brusca ha scontato la pena. Ma resta un criminale».
Dal 1997 Brusca collabora con la giustizia, contribuendo a processi decisivi contro Cosa nostra. «Vorrei proseguire l’impegno contro la mafia da uomo libero», dice a don Cozzi. Magari facendo volontariato. Ma la sua “nuova vita” resta vincolata: è ancora sotto la protezione del Servizio centrale. E anche se i giudici ritenevano «scemata» la sua pericolosità, avvertivano che «non può radicalmente escludersi una possibile ricaduta nel reato».
Nel suo libro, Brusca racconta di voler «rendermi utile», ma ammette che «non è facile con un passato come il mio». A San Giuseppe Jato, suo paese natale, il sindaco ha vietato la presentazione del volume: «Le ferite che ha lasciato sono ancora vive».
Per molti, resta il “boia di Capaci”. Oggi, senza più vincoli. E con un futuro ancora tutto da scrivere.