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Cara Lucarelli, fare giornalismo non è come giudicare coppie che sgambettano sulla pista da ballo

Che Selvaggia Lucarelli non fosse famosa per la moderazione lo sapevamo già. Ma stavolta la penna (o meglio, la tastiera) le è costata cara. Il Tribunale di Torino ha condannato la giornalista a risarcire 65mila euro a Claudio Foti, lo psicoterapeuta finito — e poi uscito — nel tritacarne mediatico del caso Bibbiano. A questi si aggiungono altri 15mila euro di multa. Totale? Un bel gruzzolo per cinque articoli scritti tra il 2019 e il 2020 sul Fatto Quotidiano, giudicati non solo poco eleganti, ma apertamente diffamatori.

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    Quando l’opinione diventa offesa: è arrivato il verdetto sul caso Bibbiano. Secondo i giudici torinesi, la Lucarelli avrebbe superato i limiti del diritto di critica giornalistica, trasformando l’approfondimento in uno show personale. E chi conosce il suo stile sa che i confini tra ironia pungente e stile da tribunale popolare spesso si fanno sfocati. In particolare, il tribunale ha sottolineato che le sue parole sarebbero state «volutamente costruite per screditare» Foti, associandolo persino a vicende tragiche come il suicidio di una bidella. Altro che inchiesta giornalistica: per il giudice c’era “pervicace volontà diffamatoria”.

    Un boomerang mediatico per Selvaggia

    C’è qualcosa di ironico — se non profetico — nel fatto che Lucarelli, spesso paladina del tribunale social, si ritrovi condannata in quello reale. Per anni ha inchiodato persone a colpi di post, articoli e tweet, sempre col ditino alzato e il tono da arcigna insegnante del liceo stufa della classe. Ma stavolta la giustizia le ha spiegato che anche i giornalisti devono fermarsi un passo prima della gogna.

    Foti assolto: una lezione di giornalismo etico

    Claudio Foti, ricordiamolo, è stato definitivamente assolto dalla Corte di Cassazione nell’aprile 2023. Nessuna responsabilità, nessun reato. Eppure, durante l’inchiesta, ha dovuto fronteggiare un assalto mediatico feroce. Lucarelli, secondo il tribunale, avrebbe alimentato quella narrazione, trasformando un’indagine in uno spettacolo. Ed ecco che la realtà le presenta ora il conto, con interessi e spese legali.

    Libertà di stampa o libertà di… spettacolarizzare?

    Il caso Lucarelli-Foti riapre un tema cruciale: dove finisce la critica e dove inizia la diffamazione? Quando il giornalismo si fa show, chi ci rimette è sempre la verità. Scrivere non è un atto di onnipotenza, il diritto di cronaca va esercitato con precisione chirurgica, non con la mazza da demolizione. Il tribunale ha tracciato una linea netta: la dignità delle persone non può diventare carne da social.

    Fare il giornalismo non è come giudicare coppie che sgambettano sulla pista da ballo

    Forse ora Selvaggia capirà che non tutto può essere trattato come un post su Facebook o un giudizio a Ballando con le Stelle. Il giornalismo richiede rispetto, rigore e, ogni tanto, anche un pizzico di umiltà. E soprattutto: se vuoi fare la giudice, assicurati che non ci sia un giudice vero pronto a giudicarti a tua volta. Che la Lucarelli non fosse famosa per la moderazione lo sapevamo. Ma stavolta la penna (o meglio, la tastiera) le è costata cara. Il Tribunale di Torino l’ha condannata a risarcire 65mila euro a Claudio Foti, lo psicoterapeuta finito — e poi uscito — nel tritacarne mediatico del caso Bibbiano. A questi si aggiungono altri 15mila euro di multa. Totale? Un bel gruzzolo per cinque articoli scritti tra il 2019 e il 2020 sul Fatto Quotidiano, giudicati non solo poco eleganti, ma apertamente diffamatori. Chi di titolo clickbait colpisce…

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