Italia
Italia sempre più anziana: un ultracentenario ogni tre nuovi nati, ma i giovani scompaiono dal Paese
Secondo i dati Istat, negli ultimi dieci anni i centenari sono cresciuti del 36% e le nascite sono crollate del 26%. Il saldo demografico spinge l’Italia verso uno scenario in cui la popolazione attiva diminuisce e il welfare rischia il collasso.
L’Italia assomiglia sempre di più a una grande casa di riposo. La fotografia scattata dall’Istat racconta con chiarezza una metamorfosi demografica che non accenna a fermarsi: la popolazione cala, ma la fascia anziana cresce senza sosta. E all’interno di quest’ultima, il gruppo che aumenta di più è quello degli ultracentenari, insieme agli over 85.
Dal 2014 a oggi i residenti nel nostro Paese sono scesi da oltre 60 milioni a meno di 58 milioni. In parallelo, il numero di chi ha 65 anni e più è salito da poco meno di 13 milioni a oltre 14 milioni e mezzo, con un incremento relativo del 12%. Il dato diventa ancora più impressionante se si guarda agli over 85, cresciuti del 31%, e ai centenari, che in dieci anni sono aumentati addirittura del 36%.
Gli ultracentenari oggi sono 23.548, mentre nel 2014 erano 17.252 e appena 7.200 nel 2004. Significa che in un decennio l’Italia ha guadagnato un over 100 ogni tre e ha perso un neonato su quattro. Le nascite, infatti, nello stesso periodo sono diminuite del 26%, consolidando un trend che dura da oltre quarant’anni: il tasso di fecondità resta sotto 1,5 figli per donna, ben lontano dalla soglia di due necessaria a garantire l’equilibrio tra generazioni.
Se da un lato la crescita della popolazione anziana rappresenta il riflesso positivo della riduzione della mortalità infantile e di una maggiore sopravvivenza oltre i 65 anni, dall’altro solleva interrogativi cruciali. Oggi un neonato ha oltre il 90% di probabilità di arrivare a 65 anni, quando fino a poche generazioni fa la quota era appena di un terzo. Ma a crescere è soprattutto la vita in condizioni di cattiva salute: chi raggiunge i 65 anni ha davanti a sé in media 11 anni in buona salute, dopodiché aumenta il rischio di malattie croniche e disabilità.
Questo scenario mette a dura prova la sostenibilità economica e sociale del Paese. La riduzione della popolazione giovane-adulta indebolisce la componente da cui dipendono crescita e produttività. Meno lavoratori significa meno contributi per finanziare pensioni e servizi, in un sistema già sotto pressione. Se il trend non si inverte, il rischio è quello di un welfare pubblico insufficiente, con pensioni mediamente più basse e la prospettiva che solo una parte della popolazione possa permettersi di vivere a lungo e in buone condizioni.
Gli esperti parlano da tempo di un “autunno demografico” che rischia di trasformarsi in inverno. Non basta celebrare la longevità come un traguardo: servono politiche attive che incentivino la natalità, favoriscano l’occupazione giovanile e investano in servizi di cura e assistenza. Altrimenti, la residenza per anziani rischia di diventare l’unico modello abitativo a cui guardare per il futuro dell’Italia.