Italia
Sace, garanzie per tutti (ma qualcuno è più garantito degli altri)
Sorgenia e Gruppo San Donato sono solo due dei nomi che compaiono nella lista dei beneficiari delle coperture Sace. Peccato che Sequi, vicepresidente della stessa Sace, ne sia presidente o advisor. Intanto a Palazzo Chigi si monitora con discrezione e apprensione.
A pensar male si fa peccato, diceva qualcuno. Ma ogni tanto ci si azzecca. E anche senza scomodare il demonio del sospetto, i nuvoloni che si addensano su Sace – la società controllata dal ministero dell’Economia che garantisce finanziamenti alle imprese – stanno lì, ben visibili, come una perturbazione in arrivo da nord. Al centro dell’occhio del ciclone, guarda caso, c’è uno degli uomini che conta di più nel sistema economico-diplomatico italiano: Ettore Sequi, oggi vicepresidente di Sace. E fin qui, nulla da dire. Se non fosse che lo stesso Sequi risulta presidente di Sorgenia e senior advisor del Gruppo San Donato, due realtà private che, guarda un po’, beneficiano proprio delle garanzie pubbliche elargite da Sace.
Ecco quindi che il classico schema all’italiana si ripresenta puntuale: da un lato la mano che firma, dall’altro quella che incassa. Nessuno insinua che ci sia dolo o interesse personale, per carità. Ma la sovrapposizione dei ruoli grida comunque vendetta al buon senso. Anche perché parliamo di milioni di euro di garanzie pubbliche, mica del bonus monopattino.
Il sillogismo è facile e scivoloso: Sace distribuisce coperture assicurative e finanziarie a chi ne fa richiesta, ma se tra i beneficiari ci sono società che vedono il vicepresidente della stessa Sace come figura apicale, un piccolo cortocircuito si crea. Un’ombra, diciamo. Che non è ancora un temporale, ma nemmeno una serena giornata di luglio.
Sequi, per carità, ha un curriculum di prim’ordine. È stato ambasciatore a Kabul, segretario generale della Farnesina, diplomatico di lungo corso. Ma il punto non è se sia competente (lo è). Il punto è se possa ricoprire contemporaneamente cariche che si sfiorano, si parlano e magari si favoriscono.
Intanto, nei corridoi dei ministeri le antenne sono ben dritte. Fonti beninformate parlano di segnali sempre più intensi, captati sia a Via XX Settembre che a Palazzo Chigi. Pare che Sequi stia giocando anche una partita interna per blindare Alessandra Ricci, attuale amministratrice delegata di Sace, attraverso canali informali con la Farnesina. Ufficialmente, si tratta di un sostegno “istituzionale” alla riconferma. Ufficiosamente, secondo i soliti bene informati, quella riconferma servirebbe a consolidare un assetto amico, che magari risulta utile a chi ha legami stabili con alcune aziende, pubbliche a metà.
Uno scenario che, a volerlo descrivere con ironia, somiglia un po’ a una tavola rotonda dove tutti giocano con le carte scoperte, ma ognuno guarda il mazzo dell’altro. E in un contesto dove la Sace gestisce miliardi di euro in garanzie, l’equidistanza dovrebbe essere non solo garantita, ma visibilmente garantita. Invece, qui si gioca sulla sottile linea che separa la compatibilità dal conflitto.
Il ministero dell’Economia – azionista di Sace – è stato informato. Il governo monitora. Le autorità di vigilanza sono state allertate. Ma tutto si muove sottotraccia, nel solito stile italiano: nessuna bufera, ma ombre lunghe che consigliano il classico “vediamo come evolve”.
Nel frattempo, Sequi resta lì. Con tre cappelli in testa e una reputazione ancora intatta, almeno formalmente. Ma nel Paese dei conflitti di interessi cronici, anche i più esperti equilibristi sanno che prima o poi si scivola. E quando succede, nessuno ti salva. Nemmeno le garanzie pubbliche.