Cronaca

“Le donne hanno paura di denunciare”: quando il silenzio alimenta i femminicidi

Tra stereotipi sociali, sfiducia nelle istituzioni e rischio di ritorsioni, molte donne evitano di rivolgersi alla polizia. Conoscere i propri diritti, avere reti di sostegno e strumenti efficaci di tutela può fare la differenza prima che sia troppo tardi.

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    La cronaca continua a raccontarci storie tragiche: femminicidi che scuotono l’Italia, donne uccise dall’uomo che dicevano di amare, o che erano convinte potesse cambiare. Eppure i numeri rivelano un dato allarmante: la maggior parte delle donne che finiscono uccise non aveva mai sporto denuncia né parlato delle violenze subite. Perché succede? E soprattutto, quando è possibile evitare il peggio, quali strumenti ha una donna per denunciare.

    Perché molte donne non denunciano

    I problemi sono molteplici e radicati — e spesso combinati fra loro:

    1. Paura delle conseguenze
      La ritorsione è un timore concreto: violenza fisica, psicologica, persecuzioni, perdita del lavoro, isolamento. Denunciare significa spesso mettere tutto allo scoperto, sperimentare vergogna, giudizio da parte di familiari, amici, vicini.
    2. Sfiducia nel sistema e lentezza della giustizia
      Alcune donne credono che non verranno credute, che le forze dell’ordine non prenderanno sul serio la loro storia. Anche le istituzioni stesse ammettono che le leggi esistono, ma non sempre vengono applicate con efficacia. Secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta, le misure di protezione sono usate troppo poco.
    3. Cultura patriarcale e stereotipi
      In molti casi la violenza è minimizzata: commenti su cosa indossava la donna, su come si sia comportata, sul perché non abbia reagito prima. L’educazione, l’ambiente sociale e i modelli di genere giocano un ruolo importante nel far sentire la donna colpevole invece che vittima.
    4. Condizioni personali e dipendenza
      Dipendenza economica, presenza di figli, paura di dover affrontare da sola la vita dopo la denuncia, mancanza di risorse per spostarsi o cambiare casa: tutte queste sono ragioni che spingono al silenzio.
    5. Rubinetto delle denunce chiuso
      I dati confermano che solo il 15% delle donne che verranno uccise in un rapporto intimo aveva sporto denuncia o querela per abusi precedenti. In vari casi, la donna non ha parlato con nessuno delle violenze subite.

    Quando è possibile evitare il peggio

    Non sempre il tragico è inevitabile: ci sono segnali che possono cambiare il corso degli eventi, se raccolti e gestiti in tempo.

    • Riconoscere i reati spia: atti persecutori/stalking, maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali — anche se piccoli o sporadici, sono campanelli d’allarme.
    • Intervenire tramite reti di sostegno: amici, parenti, centri antiviolenza, psicologi. Parlare può alleggerire il carico emotivo e far emergere l’escalation del rischio.
    • Accedere alle misure di protezione previste dalla legge: ammonimento, divieto di avvicinamento, allontanamento del partner violento, braccialetto elettronico. Il problema è che in molti casi queste misure non vengono applicate.

    Come denunciare: strumenti e percorso

    Ecco cosa può fare una donna che decide di denunciare una violenza:

    1. Forze dell’ordine
      Presentarsi in una caserma dei Carabinieri o in una stazione di Polizia. È possibile sporgere denuncia o querela. Anche il Pronto Soccorso può attivarsi (medici, sanitari) per segnalare lesioni o violenza fisica.
    2. Utilizzare i numeri utili
      • Il numero nazionale antiviolenza 1522, attivo 24 ore al giorno, per consigli, ascolto e supporto.
      • Centri antiviolenza e organizzazioni della rete D.i.Re, che offrono aiuto pratico, legale, psicologico anche in anonimato.
    3. Procedura legale
      La denuncia deve contenere la descrizione dei fatti subiti: date, modalità, aggressore (se noto), testimoni, eventuali documenti o prove: messaggi, foto, referti medici. Da lì il pubblico ministero può aprire un’inchiesta, e ci sono strumenti cautelativi (ad esempio il divieto di avvicinamento).
    4. Aspetti pratici e supporto
      • Richiedere assistenza legale esperta in materia di violenza di genere.
      • Mettere al sicuro documenti importanti, denaro, telefonino.
      • Preparare un piano per la sicurezza: a chi rivolgersi, dove andare, eventuale rifugio.
      • Se possibile anche supporto psicologico, per affrontare le conseguenze emotive della denuncia.

    Cambiare rotta: politiche, cultura, educazione

    Per ridurre davvero i femminicidi non basta “colpa delle donne che non denunciano”: serve un cambiamento strutturale.

    • Formazione continua delle forze dell’ordine, dei giudici, degli operatori sanitari sulle caratteristiche della violenza di genere e sui pregiudizi che impediscono di riconoscerla.
    • Maggiore accesso alle case rifugio, tutela economica per chi decide di uscire da una relazione violenta.
    • Potenziare le leggi esistenti e assicurarne una applicazione efficace, con strumenti come il braccialetto elettronico, l’allontanamento immediato, le misure cautelari.
    • Educazione di genere fin dalle scuole: insegnare rispetto, riconoscere i segnali, costruire relazioni basate sull’uguaglianza.

    I femminicidi non sono inevitabili. Ma finché le denunce restano poche, le leggi restano spesso sulla carta e la cultura patriarcale persiste, il rischio permane.

    Ogni donna che denuncia, ogni persona che ascolta e crede, ogni istituzione che protegge è un passo verso una società in cui la protezione non sia privilegio ma diritto.

    Conoscere i propri diritti, avere il supporto giusto e usare gli strumenti previsti dalla legge non è solo una speranza: è la via per evitare che storie come quelle che commuovono i titoli di cronaca diventino la norma.

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