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Un Papa americano tra Dio e il fisco: Leone XIV rischia di perdere la cittadinanza Usa o dichiarare i suoi redditi
Un deputato repubblicano ha presentato una proposta di legge per esentare il Papa dagli obblighi fiscali previsti per i cittadini americani all’estero. Ma il paradosso resta: può un pontefice essere anche contribuente sotto lo sguardo del Tesoro statunitense?
Non è un romanzo di Dan Brown, anche se ne ha tutti i tratti: un Papa americano, un codice fiscale, e il Dipartimento del Tesoro che bussa alle porte del Vaticano. Robert Francis Prevost, nato a Chicago nel 1955 e oggi noto al mondo come Leone XIV, è il primo pontefice statunitense della storia. E con lui, arriva un dilemma mai visto prima: deve davvero compilare la dichiarazione dei redditi americana?
Il problema nasce dal sistema fiscale degli Stati Uniti, che tassa non in base alla residenza ma alla cittadinanza. Anche se vivi in un altro continente. Anche se sei diventato Capo di Stato. Anche se ti vesti di bianco e ti chiamano “Santo Padre”.
E così, mentre Leone XIV lavora per la pace, predica la sobrietà e riceve leader da ogni angolo del globo, gli uffici fiscali di Washington lo tengono teoricamente sotto osservazione. Perché la legge non fa eccezioni: un cittadino americano deve rendere conto dei suoi guadagni, ovunque si trovi. Anche in Vaticano.
A sollevare il caso è stato il Washington Post, ricordando che il Papa, almeno sulla carta, è soggetto agli obblighi di dichiarazione. E a cercare di risolverlo ci ha pensato Jeff Hurd, deputato repubblicano del Texas, che ha presentato alla Camera l’Holy Sovereignty Protection Act, una legge ad personam per blindare il pontefice dagli occhi del fisco. “Un americano chiamato a guidare la Chiesa non può rischiare di perdere la cittadinanza o affrontare burocrazie assurde”, ha detto.
Prevost, peraltro, non ha solo un passaporto. Ne ha tre: americano, peruviano (ottenuto nel 2015 quando era vescovo a Chiclayo) e vaticano. E ha recentemente rinnovato anche i documenti peruviani. Ma non ha mai rinunciato alla cittadinanza Usa. Il che lo rende, tecnicamente, un contribuente sotto l’autorità dell’IRS.
A inquietare, però, non è tanto il destino fiscale del Papa, quanto le possibili implicazioni: cosa succederebbe se venisse chiesto di dichiarare, per esempio, i fondi dell’Obolo di San Pietro? O altre risorse caritatevoli della Santa Sede? Un cortocircuito tra fede e burocrazia che ha già messo in allarme la diplomazia vaticana.
In attesa che il Congresso decida, il paradosso resta tutto: può un uomo considerato infallibile ex cathedra essere comunque obbligato a spiegare ogni centesimo al Tesoro di un altro Stato?