Politica

Beppe Grillo nell’anno più buio: fuori dal Movimento, senza rendita e piegato dalla condanna del figlio Ciro

Tra blog visionari, riferimenti al Conte di Montecristo e un silenzio che pesa più di mille parole, Grillo appare ferito ma non sconfitto. I suoi fedelissimi scommettono su un ritorno, ma nessuno sa in quale veste: padre, guastatore o tribuno.

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    Un anno da cancellare, ma impossibile da dimenticare. Per Beppe Grillo gli ultimi mesi si sono trasformati in una spirale che lo ha trascinato verso il basso, combinando due ferite che mai avrebbe pensato di dover affrontare nello stesso tempo: l’addio forzato al Movimento 5 Stelle, la sua creatura politica, e la condanna in primo grado a otto anni per stupro di gruppo inflitta al figlio Ciro.

    Chi lo incontra oggi lo descrive come un uomo «più silenzioso del solito, cupo, quasi piegato». Non il Grillo che urlava dai palchi, ma un padre ferito e un fondatore esautorato. «Si rialzerà, ma non sarà domani. Gli servirà tempo», dice chi gli è vicino.

    Il colpo politico è stato frontale. La cancellazione del ruolo di garante, decisa dall’Assemblea costituente del Movimento a novembre, ha sancito il suo esilio interno. Grillo aveva provato a opporsi, chiedendo persino una ripetizione del voto, ma nulla è cambiato: il M5S lo ha di fatto archiviato. Il comico ha reagito con sarcasmo, citando The Truman Show: «Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte». Una battuta amara, che ha il sapore di un addio.

    In parallelo è arrivata la mazzata economica: niente più contratti da 300mila euro all’anno come consulente, niente più rendita garantita. Persino lo scudo legale che lo proteggeva nei processi è finito in discussione. Un colpo al portafogli e al prestigio, che lo ha trasformato da fondatore carismatico a ex ingombrante.

    Ma la ferita personale brucia ancora di più. La sentenza sul figlio Ciro lo ha colpito nel profondo. Convinto da sempre della sua innocenza, Grillo si è trovato di fronte a un verdetto che ha ridisegnato gli equilibri familiari e pubblici. «È stato il colpo più duro della sua vita», racconta chi conosce bene la famiglia. «Non solo per l’amore di un padre, ma perché ha visto crollare ogni certezza».

    Sul suo blog ha cercato rifugio in metafore e allegorie. In un post intitolato «Chiamatemi Sinbad» ha scritto: «Naufraghiamo, perdiamo tutto, rischiamo di annegare, ma ci aggrappiamo a un legno e sopravviviamo». Un’immagine che racconta più di mille parole: Grillo si sente in mezzo al mare, senza terra all’orizzonte, ma ancora deciso a non affondare. E per chi conosce i suoi riferimenti culturali, Sinbad è anche lo pseudonimo del Conte di Montecristo. Non a caso molti leggono in quel richiamo la tentazione di una vendetta, di un ritorno improvviso e fragoroso.

    L’idea che il “comico” sia finito, però, convince pochi. «Grillo è un animale da palco», spiega un suo vecchio compagno di viaggio. «Non sa vivere senza i riflettori. Magari non tornerà con un partito, ma troverà un modo per rimettersi al centro». C’è chi immagina un nuovo movimento, chi uno spettacolo dirompente, chi un blog ancora più incendiario.

    Intanto resta il silenzio. Non più urla, non più vaffa, solo poche righe cariche di simboli. Un silenzio che pesa, che lascia sospesi amici e nemici. Persino Conte, oggi leader del Movimento, preferisce non commentare oltre misura: sa che il fantasma del fondatore aleggia ancora.

    Un anno che sembrava dover celebrare i suoi meriti di visionario e che invece lo ha consegnato al ruolo di “ex”. Eppure la storia di Grillo insegna che non si arrende mai davvero. Dalla comicità alla politica, dalle piazze ai processi, ha sempre trovato il modo di sorprendere.

    L’unica certezza è che questo silenzio non durerà per sempre. Il Grillo guerriero tornerà. Ma nessuno sa se lo farà come tribuno del popolo, come padre in cerca di riscatto o come guastatore deciso a regolare i conti con chi lo ha messo all’angolo.

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