Politica
Liliana Segre: «Provo repulsione per il governo Netanyahu. Ma l’attacco di Hamas resta la causa scatenante»
«Israele ha superato i limiti del diritto di difesa, ma non è genocidio. E Trump? Ha bullizzato Zelensky: una scena che mi ha fatto provare disgusto».
Liliana Segre non si nasconde. Non lo ha mai fatto, neppure nei momenti in cui il silenzio sarebbe stato più comodo. E oggi, alla soglia dei novantaquattro anni, la senatrice a vita torna a parlare. Lo fa con parole dure, scomode, che rifiutano semplificazioni e schieramenti ciechi. Lo fa nell’intervista inedita che apre il libro Non posso e non voglio tacere. Riflessioni di una donna di pace, in uscita per Solferino. E in queste pagine, come sempre, Segre non arretra.
«Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», dice, osservando il conflitto che da Gaza al Libano infiamma il Medio Oriente. Vede due popoli in trappola, israeliani e palestinesi, «condannati a odiarsi, guidati dalle peggiori componenti delle rispettive leadership». Non ha dubbi sulla natura criminale dell’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas, che definisce «fanatismo sanguinario». Ma non per questo risparmia critiche a Israele: «Sento una profonda repulsione verso il governo Netanyahu, una destra estrema, ipernazionalista, con componenti fascistoidi e razziste». Aggiunge che ogni governo israeliano avrebbe reagito con forza dopo un simile trauma, ma la guerra a Gaza «ha avuto connotati di ferocia inaccettabili» e non ha rispettato il diritto internazionale.
Il nodo del genocidio, termine sempre più usato nei dibattiti e nelle piazze, viene affrontato con lucidità. Segre lo respinge: «La guerra di Gaza è stata atroce, ma non è corretto parlare di genocidio. La responsabilità primaria è di Hamas, ma Israele ha compiuto stragi e distruzioni immani andando oltre il diritto di difesa».
Eppure, ricorda, Hamas non è il popolo palestinese. «Non rappresenta i palestinesi, non lotta per uno Stato, vuole solo la distruzione di Israele. Lo stesso vale per l’Iran, che li strumentalizza per combattere l’“entità sionista”». Non nega gli errori di Israele, anzi: li elenca, e ammette che lo Stato ebraico ha delle responsabilità gravi per la condizione dei palestinesi. Ma torna al 2005, al ritiro da Gaza, a quella possibilità «sprecata» con l’ascesa violenta di Hamas. E continua ad augurarsi la soluzione dei due Stati: «È difficile, ma non impossibile. La storia ha visto svolte impensabili anche nel Medio Oriente».
Segre, come sempre, alza lo sguardo. E vede il panorama cupo dell’Occidente: la rielezione possibile di Trump, l’estrema destra che cresce in Germania e Austria, il pantano francese, le interferenze russe e l’influenza di miliardari americani sulle elezioni europee. «L’Unione Europea è sotto attacco», avverte, e la crisi ucraina le brucia nel cuore. «Se Kiev venisse abbandonata, sarebbe un tradimento come quello di Monaco nel 1938, quando si diedero i Sudeti a Hitler illudendosi di fermarlo». Il paragone non è retorico, è amaro e consapevole.
Ma la ferita più fresca è quella dell’incontro tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca, il 28 febbraio scorso: «Vedere Trump bullizzare Zelensky, accusarlo, minacciarlo, è stato disgustoso. Io ricordo gli Stati Uniti dei soldati che ci liberarono dal nazifascismo. Questa America non la riconosco più. Non avrei mai immaginato una presidenza Usa che abbandona le democrazie europee per mettersi in combutta con le dittature».
Liliana Segre non tace. Non vuole e non può farlo. Anche quando le sue parole dividono, anche quando il dolore è troppo grande per essere racchiuso in formule. La sua voce resta un monito, una coscienza viva che rifiuta il cinismo dell’indifferenza.