Cronaca
Putin, trionfo e propaganda: “In Ucraina come contro i nazisti”. La sfilata sulla Piazza Rossa diventa un messaggio di guerra
Una piazza militarizzata, i tank che sfilano sotto i mosaici di San Basilio, il cielo di Mosca tagliato dal rombo degli aerei da guerra. È il Giorno della Vittoria, la celebrazione più importante del calendario russo, e quest’anno Vladimir Putin ha voluto trasformarla in qualcosa di più di una commemorazione: un atto di propaganda militare, un messaggio preciso rivolto al mondo. L’80° anniversario della vittoria sull’Asse, celebrato con una parata definita “la più grande di sempre”, diventa il pretesto per legittimare un’altra guerra, quella in Ucraina, a cui il presidente russo ha dedicato la parte centrale del suo intervento.
“L’intero Paese sostiene i partecipanti all’operazione militare speciale”, ha scandito dal palco della Piazza Rossa, mentre sul selciato sfilavano 1500 soldati reduci proprio dal fronte ucraino. “Siamo fieri del loro coraggio e della loro determinazione. La forza d’animo che ci ha sempre portato alla vittoria.” Parole scandite con fermezza, accanto al presidente cinese Xi Jinping, in una delle immagini più cariche di simboli di questa giornata: Mosca e Pechino fianco a fianco, mentre il mondo guarda con preoccupazione.
Nel suo discorso, durato una decina di minuti, Putin ha ribadito una narrativa ormai costante: l’operazione in Ucraina come prosecuzione dello sforzo sovietico contro il nazismo. “La Russia – ha detto – è e sarà sempre un ostacolo invalicabile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo. La verità e la giustizia sono dalla nostra parte.” Una formula retorica che ripete da mesi, ma che oggi, nel contesto della festa nazionale per eccellenza, assume i contorni di una dichiarazione d’identità: non solo il popolo russo, ma l’intera “grande guerra patriottica” è evocata per giustificare il conflitto contemporaneo.
La giornata ha visto la presenza di oltre 20 leader stranieri, tra cui anche il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il premier slovacco Robert Fico. Non senza polemiche: Kiev ha definito la tregua annunciata da Mosca una “farsa”, denunciando la celebrazione come “una parata del cinismo” e mettendo in guardia i leader stranieri sulla possibilità di attacchi e manipolazioni. Nessuno, nella capitale ucraina, crede alla buona fede della tregua umanitaria. Tantomeno in un momento in cui le forze russe intensificano la pressione sul fronte orientale.
“È la festa più importante del Paese”, ha sottolineato Putin, salutando i veterani e stringendo mani tra sorrisi plastici e pose studiate. “La celebriamo come nostra, come di ogni famiglia, come di ogni cittadino.” Ma proprio in questa frase si nasconde la distanza tra l’evento e la realtà: la guerra che oggi insanguina l’Ucraina non è quella dei nonni, e molti russi – specie lontano dalle telecamere del Cremlino – lo sanno.
La parata del 9 maggio, con il suo apparato scenografico, le sue coreografie militari e la narrazione epica, si è trasformata anche quest’anno in uno spettacolo per il consenso interno. Ma in una Russia che affronta sanzioni, dissenso represso e un’economia provata, anche le parate rischiano di stancare. Per ora, però, il messaggio è chiaro: la guerra non si ferma. Anzi, si celebra.