Connect with us

Cronaca

Quando la mitomania supera ogni limite: il “sosia” di Johnny Depp e la falsa testimonianza

Si definiva il “sosia di Johnny Depp” e ha raccontato una serie di bugie alle autorità per guadagnare visibilità sfruttando la tragedia di una giovane donna uccisa a coltellate. Ma la sua mitomania è stata smascherata dai carabinieri, che lo hanno denunciato per favoreggiamento personale, lasciando aperti interrogativi sul confine tra la vanità e il rispetto per le vittime di un crimine

Avatar photo

Pubblicato

il

    Il caso dell’omicidio di Sharon Verzeni si è arricchito di un episodio surreale: un uomo che si è presentato come “sosia ufficiale di Johnny Depp” ha inventato una presunta conoscenza con la vittima. Fabio Delmiglio, cinquantenne di Brembate Sopra, ha ammesso di aver mentito ai carabinieri di Bergamo per ottenere un ritorno pubblicitario. Un atto di pura mitomania, sfruttando la tragedia di una ragazza brutalmente uccisa, dimostra come la ricerca di una discutibile notorietà possa prevalere su ogni forma di rispetto e dignità.

    Il racconto dell’incontro e la bugia smascherata

    Delmiglio aveva raccontato di aver conosciuto Sharon Verzeni il 25 luglio in un locale di Brembate, dove la giovane lavorava, affermando che lei lo aveva riconosciuto come “sosia di Depp” e gli aveva chiesto una collaborazione. Tuttavia, questa versione dei fatti non ha convinto i carabinieri che, insospettiti, lo hanno interrogato nuovamente. Sotto pressione, Delmiglio ha confessato: tutta una montatura, un’invenzione per attirare su di sé l’attenzione dei media e guadagnare visibilità. Un comportamento che si commenta da solo.

    La denuncia e il ritorno di fiamma della vanità

    La sua confessione ha portato a una denuncia per favoreggiamento personale, ma solleva anche una questione più profonda: come si può arrivare a sfruttare il dolore e la morte di una persona per un attimo di notorietà? Delmiglio sperava di ottenere interviste e apparizioni televisive, mostrando come la vanità e la mitomania possano superare qualsiasi limite di decenza.

    L’analisi di un fenomeno preoccupante: quando la fama diventa ossessione

    Questo episodio solleva domande più ampie su quanto la società sia disposta a tollerare in nome della fama. Delmiglio non è il primo a cercare attenzione sfruttando una tragedia, ma il suo caso evidenzia una deriva preoccupante: quella di chi è disposto a tutto, anche a calpestare la memoria di una giovane vittima, pur di ottenere un momento di riflettori.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cronaca Nera

      L’impronta accanto al corpo di Chiara è di Andrea Sempio

      L’impronta sporca di sangue, lasciata sul muro accanto alla vittima, è ora attribuita a Sempio: secondo i carabinieri è “logico-fattuale” che appartenga all’assassino. Insieme al DNA sotto le unghie, è l’elemento chiave che riapre il caso Garlasco a 17 anni dall’omicidio.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Era lì, sulle scale della villetta di via Pascoli, tra il piano terra e il seminterrato dove il corpo di Chiara Poggi venne trovato riverso, senza vita. L’hanno chiamata “contatto papillare n.33”, una delle tante impronte isolate nel 2007 sulla scena del delitto, ma rimasta a lungo senza un nome. A identificarla, in una relazione dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano datata 9 luglio 2020, è una rivelazione ora al centro dell’inchiesta: per gli inquirenti, l’impronta appartiene ad Andrea Sempio, amico intimo di Marco Poggi, fratello della vittima.

        Impronta di sangue

        Un’impronta, quella numero 33, che i tecnici hanno evidenziato con luce UV e che, secondo i RIS, era sporca di sangue, tracciata sul muro prima che Chiara scivolasse lungo le scale. E che per logica – scrivono i militari – non può che appartenere all’autore dell’aggressione. La ragazza fu colpita con violenza, probabilmente con un oggetto mai ritrovato, e poi lasciata esanime ai piedi dei gradini.

        Una traccia dimenticata

        Quella traccia è tornata sotto i riflettori nel momento in cui i pubblici ministeri di Pavia hanno deciso di riaprire il fascicolo, accogliendo un’istanza presentata dalla difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio. Gli avvocati, forti di alcune incongruenze emerse negli atti e delle segnalazioni contenute in una prima informativa del 2016, hanno ottenuto che venisse disposta una nuova consulenza tecnica. Proprio in quell’analisi comparativa i carabinieri suggerirono di approfondire l’impronta n.33, lasciata in una zona compatibile con il trascinamento del corpo.

        Decisero di non seguire la pista Sempio

        Nonostante le indicazioni, la Procura decise allora di non seguire quella pista. Ma oggi gli investigatori della Omicidi, delegati ufficialmente dai magistrati, sono tornati su quella traccia, ritenendola un punto centrale dell’inchiesta. A rafforzare il quadro, ci sono due profili genetici maschili rilevati sotto le unghie di Chiara, uno dei quali compatibile proprio con Andrea Sempio. L’altro, non ancora identificato, è oggetto di ulteriori accertamenti.

        Non è un dettaglio trascurabile che, quando Sempio fu convocato nel 2022 in caserma a Milano per il prelievo coatto del DNA, gli vennero acquisite anche le impronte digitali. Un passaggio di routine? Forse. Ma appena un mese dopo, il 17 aprile, fu richiamato per ripetere l’operazione con il metodo tradizionale a inchiostro. All’epoca si parlò di un “difetto tecnico dei vetrini”, ma in realtà si voleva garantire una comparazione più affidabile con le impronte lasciate in ambienti contaminati da liquidi, come sangue o sudore.

        Ora, con la perizia depositata dalla Procura, quella comparazione diventa un elemento di prova. Non più soltanto una suggestione investigativa, ma un dato cristallizzato: l’impronta n.33 sarebbe compatibile con l’anulare destro di Andrea Sempio. Una conferma che i pubblici ministeri avrebbero voluto contestare formalmente, se il nuovo indagato si fosse presentato spontaneamente in Procura.

        Il caso Garlasco, a 17 anni dall’omicidio, si arricchisce così di una nuova tessera. Un’impronta dimenticata, che potrebbe cambiare il volto di una delle vicende giudiziarie più discusse degli ultimi decenni. Per ora resta ancora da capire se porterà anche a un nuovo processo.

          Continua a leggere

          Storie vere

          Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa

          Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.

            A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.

            La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.

            Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.

            Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.

            «Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.

            Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.

              Continua a leggere

              Cronaca Nera

              Angelo Izzo rompe il silenzio dal carcere: «Io pentito? Di sicuro non lo rifarei»

              Il “Mostro del Circeo”, condannato a due ergastoli, interviene in un podcast della Rai e parla per la prima volta dopo anni di silenzio. Le sue parole arrivano dal carcere di Velletri: «Sono profondamente cambiato. Ho riflettuto su chi ero, ma il pentimento è qualcosa di più complesso».

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Angelo Izzo torna a parlare. Cinquant’anni dopo la strage del Circeo e venti anni dopo il massacro di Ferrazzano, l’uomo condannato a due ergastoli rompe il silenzio dal carcere di Velletri, dove è detenuto. Lo fa attraverso il suo avvocato, Rolando Iorio, intervenendo nel podcast di RaiPlaySound Il massacratore del Circeo, prodotto dalla Tgr Molise.

                Izzo ha risposto per iscritto alle domande, evitando parole definitive ma lasciando trapelare un certo distacco da se stesso. «Pentimento è una parola complicata, che implica anche e soprattutto un sentimento che riguarda moti dell’anima e di cui ho pudore a parlare», ha detto. «È ovvio che negli anni una persona può cambiare anche profondamente. Io oggi mi sento una persona profondamente diversa dalla persona che è stata protagonista di quei fatti. Posso soltanto dire che non rifarei ciò che ho fatto».

                Nel 2005, mentre godeva del regime di semilibertà, Izzo uccise Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano a Ferrazzano, in provincia di Campobasso. Un duplice omicidio che riportò brutalmente alla cronaca il suo nome, legato a uno dei casi più atroci della storia criminale italiana.

                Nel suo messaggio dal carcere, Izzo accenna anche ad aspetti del suo carattere: «Ho molto riflettuto su alcuni tratti di me che mi portano a buttarmi a capofitto in situazioni pericolose, e a volte anche sbagliate». Nessuna dichiarazione di responsabilità piena, nessuna richiesta di perdono.

                Il nome di Angelo Izzo resta legato soprattutto alla strage del Circeo, consumata nel settembre del 1975 nella villa di Andrea Ghira a San Felice Circeo. Insieme a Gianni Guido e allo stesso Ghira, Izzo sequestrò Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, due ragazze di 17 e 19 anni, conosciute pochi giorni prima tramite un amico.

                Le due furono tenute prigioniere per trentacinque ore, violentate, seviziate e torturate. Rosaria Lopez venne uccisa, annegata nella vasca da bagno. Donatella Colasanti sopravvisse: creduta morta, fu rinchiusa nel bagagliaio dell’auto dei rapitori. I suoi lamenti permisero ai passanti di dare l’allarme. Izzo e Guido furono arrestati quasi subito, Ghira si diede alla fuga.

                Il processo si concluse nel 1976 con tre ergastoli. Nel corso dei successivi gradi di giudizio, Gianni Guido ottenne uno sconto di pena a trent’anni per attenuanti generiche. Ghira morì in latitanza. Izzo scontò parte della sua pena, fu inserito in percorsi di reinserimento, ottenne la semilibertà e tornò a uccidere.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù