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Marco corre 100 maratone contro il bullismo: “Correre mi ha ridato la vita”

Un insegnante lo umiliò chiamandolo “Polpetta”. Oggi, dopo 100 maratone in 100 giorni, Marco ha trasformato la sua corsa in un messaggio di forza per tutti i ragazzi vittime di bullismo.

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    Si chiama Marco Matteazzi, ha 24 anni, e ha corso per cento giorni consecutivi senza mai fermarsi, attraversando cento città italiane. Una sfida oltre lo sport. La sua corsa è stata un atto di rivalsa, una missione contro il bullismo, quel male che lui ha conosciuto fin troppo bene da ragazzino. Tutto iniziò a scuola, quando un professore lo prese di mira con un soprannome crudele. “Polpetta”, così lo chiamò davanti ai compagni di classe, e da quel giorno Marco divenne lo zimbello della scuola, vittima di battute e sguardi di scherno. Quel nomignolo pesante lo accompagnò per anni, lasciando dentro di lui un segno profondo. Ma anziché lasciarsi abbattere, decise di cambiare la sua storia. Perse 30 chili, iniziò a correre e trovò nella fatica della corsa la sua liberazione. Oggi, il suo progetto di 100 maratone in 100 giorni ha portato il suo messaggio in tutta Italia, trasformandolo in un simbolo di speranza per chi si sente escluso.

    Una sfida che mette alla prova corpo e mente

    La maratona numero uno è partita il 14 febbraio San Valentino, il giorno dell’amore, un simbolo di affetto e di cura, ma la strada è stata durissima. Nei primi cinquanta giorni il dolore fisico era costante, l’infiammazione alla gamba lo tormentava, e a volte la sua testa gli diceva di fermarsi. Il giorno 33, a Teramo, il dubbio lo ha sfiorato per davvero. “Forse è troppo, forse devo smettere”, ha pensato ma Marco non ha mollato. Passati settanta giorni, il suo corpo ha iniziato ad adattarsi. La fatica è diventata forza, il dolore si è trasformato in resistenza, e gli ultimi giorni sono stati una sorpresa continua, un crescendo di determinazione. E grande forza.

    Uno, dieci, cento Marco. Una corsa collettiva per combattere il bullismo

    Marco non ha corso da solo. Tappa dopo tappa, bambini, adulti, anziani lo hanno affiancato, regalando chilometri e sostegno. Tre ragazzini di dodici anni lo hanno accompagnato per una mezza maratona, mentre ultrasettantenni si sono messi in gioco per qualche chilometro. La sua impresa ha generato una raccolta fondi per la Fondazione Libra Ets, impegnata nel contrasto al bullismo e alla violenza di genere. Intorno a lui è nata una community, Insanus, che ha condiviso i chilometri su Strava, fino a raggiungere un obiettivo simbolico: 100.000 km percorsi collettivamente.

    E ora? Il sogno non finisce qui

    Oggi Marco guarda avanti: vuole continuare a ispirare, creare un running club, aiutare le persone a migliorarsi. Nel cuore ha un nuovo sogno: entrare nella Nazionale Italiana di Ultramaratona. Dopo cento maratone, si concede qualche giorno di riposo, ma non smette di allenarsi. “Sono già tornato in palestra”, scherza. La sua battaglia non è finita, perché sa che tantissimi ragazzi oggi vivono quello che lui ha vissuto. Il messaggio che lascia è semplice ma potente: “Subire una volta non è un buon motivo per continuare a subire. Bisogna passare all’azione e inseguire i propri sogni. Io l’ho fatto. E chiunque può farlo”.

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