Storie vere
Montesilvano, bufera per l’annuncio shock: «Cerchiamo un parrucchiere gay con partita Iva»
«Cerchiamo parrucchiere uomo gay con partita Iva». È bastata questa frase, accompagnata dall’hashtag #parrucchieregay, a scatenare un putiferio online. L’annuncio è comparso in un gruppo Facebook di Montesilvano, in provincia di Pescara, ed è stato subito rimosso, ma il testo – riportato oggi da Il Fatto Quotidiano – resta inciso nelle schermate condivise: «Il nostro meraviglioso salone cerca un parrucchiere uomo gay, specializzato nel settore femminile, con ottima presenza, motivato, con clientela propria, da inserire immediatamente con formula di affitto poltrona».
Un’offerta di lavoro che ha fatto gridare allo scandalo. Perché quell’indicazione, “uomo gay”, non solo suona come uno stereotipo, ma è anche vietata dalla legge. A difendere l’annuncio ci ha pensato il titolare del salone, Alessandro Tacconelli, romano trapiantato in Abruzzo, che gestisce la boutique con la moglie. «Nel mondo dei parrucchieri i gay hanno un passo in più – ha spiegato –. Noi amiamo il mondo gay, vogliamo metterlo in mostra e portarlo dentro il nostro salone. Non abbiamo fatto nulla di male, anzi stiamo sostenendo una categoria spesso discriminata».
Tacconelli non si tira indietro neppure di fronte alle critiche: «Siamo padroni di decidere chi far lavorare con noi. Non mi aspettavo un premio, ma nemmeno di essere massacrato. I parrucchieri gay hanno manualità, sensibilità e charme diverso: è un dato di fatto».
La linea difensiva, però, non convince gli esperti. Il giuslavorista Alfredo Di Silvestro è netto: «Un annuncio così è inammissibile. La direttiva Ue del 2000, recepita dall’Italia nel 2003, vieta discriminazioni sul lavoro per orientamento sessuale, religione, età o sesso. In casi simili il requisito va eliminato dall’offerta, e si può arrivare persino a chiedere i danni per la perdita di chance».
Il punto, sottolinea l’esperto, non è la buona fede del datore di lavoro, ma la legge: «È vietato anche solo dichiarare che la politica di assunzioni segue criteri discriminatori. Spetta poi al datore dimostrare di non averli applicati».
Intanto, tra chi difende il titolare accusandolo di “politicamente scorretto involontario” e chi denuncia una “discriminazione travestita da elogio”, il caso di Montesilvano si è trasformato nell’ennesimo cortocircuito social: un annuncio di lavoro finito in Procura di Facebook.