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Federico Monzino, il genio del disastro: come rovinarsi la reputazione, una chat alla volta

Le sue dichiarazioni sembrano uscite da un corso accelerato su come peggiorare una situazione già pessima. Il principe delle gaffe milanesi ha parlato, e il risultato è tragicomico.

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    C’è modo e modo di rovinarsi la reputazione. C’è chi lo fa lentamente, a piccoli passi, e chi invece – come Federico Monzino – decide di premere l’acceleratore, spalancare il cofano del ridicolo e lanciarsi a tutta velocità contro un muro mediatico. Un’impresa non da poco, ma il trentenne milanese, imprenditore e PR da copertina cheap, ce l’ha fatta. E lo ha fatto in grande stile, ammettendo di essere stato lui a consegnare a Fabrizio Corona i messaggi e gli audio privati tra Martina Ceretti e Raoul Bova. Proprio lui, l’uomo che ventiquattr’ore prima negava tutto con l’agilità di un contorsionista morale.

    “Non ho rubato nulla”, precisa con il tono di chi si aspetta un applauso. “Era tutto consensuale. Martina era con me, sapeva, ha approvato”. Insomma, l’unico che pare non aver capito la gravità della situazione è proprio lui. Nella sua versione dei fatti, Monzino è una specie di postino dei sentimenti: riceve da Martina, gira a Corona, tutto senza filtri, tutto con il cuoricino del consenso. Peccato che stiamo parlando della distruzione mediatica di un uomo di cinquant’anni, Raoul Bova, e della diffusione di materiale privato che ha scatenato un caso nazionale. Ma per Monzino, è solo “una questione di visibilità”.

    Già, perché l’idea iniziale – dice lui – era proprio quella: far diventare famosa Martina. Perché quando una ventenne frequenta una celebrità, l’obiettivo non è più vivere un’esperienza, ma monetizzarla. Ed eccolo, il nostro brillante PR: lui non ha fatto nulla, se non “agevolare”. Un po’ come dire: io non ho sparato, ho solo caricato l’arma, puntato, e passato il grilletto all’amico.

    Quando poi le cose sono precipitate – ovvero quando Martina ha capito che quel giochetto stava diventando un boomerang atomico – Monzino assicura di aver “provato a fermare tutto”. Una frase che, detta da uno che ha già inoltrato le prove a un professionista del gossip nucleare come Corona, suona un po’ come “ho buttato la benzina, ma non pensavo che il fuoco prendesse davvero”. Inutile dire che le implorazioni sono arrivate tardi, e che l’intero affaire è finito sui giornali, sui social, nelle chat, ovunque. Troppo tardi per tornare indietro, troppo goffi per rimanere credibili.

    Il capolavoro, però, arriva quando gli si chiede del messaggio anonimo mandato a Raoul Bova. “Giuro che non so chi l’ha inviato”, dice. “Io non ho mai avuto intenzione di ricattare nessuno”. Ma certo. Succede spesso che una vicenda intima venga consegnata a un professionista della distruzione mediatica “per scherzo”, così, tanto per vedere l’effetto che fa. Il tutto, ovviamente, senza nessun secondo fine. Nessun tornaconto. Solo amicizia, bontà d’animo e una gran voglia di… visibilità. Sì, perché questo è il paradosso Monzino: l’uomo che nega di voler diventare famoso, ma finisce a rotolarsi tra le pagine dei giornali come una star del trash.

    Tra dichiarazioni in contraddizione e tentativi patetici di riscrivere la storia, resta un solo fatto certo: se non ci fosse stato lui a spedire quel materiale a Corona, forse nulla sarebbe accaduto. E invece eccoci qui, con Bova impallinato, Martina nei guai, e Federico Monzino che si atteggia a vittima dell’algoritmo. Dice di avere trent’anni, ma sembra uscito da una sitcom degli anni Novanta: lo sciocco di buona famiglia che combina il disastro, ma pretende di restare invitato al brunch.

    In un mondo normale, uno così verrebbe messo a tacere dai suoi stessi amici. Ma nel suo universo parallelo, fatto di relazioni da red carpet e valori da discount, Monzino si illude di aver gestito la cosa con discrezione. Peccato che la discrezione, qui, sia stata sepolta da una valanga di messaggi inoltrati, consensi verbali, screenshot, interviste e mezze verità. E la sua figura, invece di uscirne come quella di un confidente solidale, è quella del fesso galattico. Il complice che si crede regista, il messaggero che si comporta da burattinaio, il ragazzo che voleva solo “aiutare” e ha finito per bruciare tutti. Sé compreso.

    Il tutto, ovviamente, “senza alcuna intenzione”. E ci mancherebbe.

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