Personaggi
Giampiero Mughini: la malattia, il silenzio dalla tv e la vendita della sua immensità di carta
Tra prime edizioni rare, amici che «evaporano» e risparmi quasi esauriti, Mughini si confronta con quello che definisce “gestire la vecchiaia”. La sua collezione, costruita negli anni con passione, diventa risorsa imprescindibile per mantenere dignità e autonomia.
Da quando ha avuto problemi di salute, Giampiero Mughini racconta che tutto è cambiato: non più ospitate televisive, quasi nessuno che lo chiami, afferma. È una condizione che ha portato uno dei più noti intellettuali italiani degli ultimi decenni a prendere una decisione sofferta: vendere gran parte della sua biblioteca privata. Sono tra 20.000 e 25.000 volumi, dice, raccolti in una vita di letture, scambi, scoperte — ma oggi diventati anche fonte di sollievo economico.
La salute e il silenzio mediatico
Mughini spiega che le difficoltà fisiche non sono scomparse: «Ho avuto problemi di salute. Ora sto bene — afferma — ma camminare fino al bagno, per esempio, lo faccio con fatica». Ha 85 anni e un medico gli avrebbe detto che è arrivato il momento di “gestire la vecchiaia”. Come se fosse un’operazione nuova, da apprendere ogni giorno.
Contestualmente, lamenta che dal suo malore il suo volto sia sparito dalla tv. Non lo chiamano più — anche amici “evaporati”, definisce — e quelle opportunità che un tempo erano frequenti ora non esistono più. Sono venute meno entrambe le fonti: visibilità e ricavi.
La biblioteca: tesoro, problema, risorsa
La biblioteca di Mughini non è soltanto molto grande, è anche particolarmente pregiata. Volumi originali, prime edizioni di autori come Pavese, Calvino, Campana, Gadda, Sciascia, Fenoglio, Pirandello, Bassani, Moravia, Bianciardi, Montale, Ungaretti fanno parte di quel patrimonio.
Non tutti i libri però possono essere venduti per lui: ci sono pezzi che considera sacri. Non cedibili, come le tre opere di Italo Svevo, i libri di Umberto Saba per il legame con Trieste e poi Carlo Dossi, con cui dice di sentirsi affine.
Una parte dei volumi è già stata affidata al libraio milanese Pontremoli, un vecchio amico, per la vendita. Ma la selezione dei libri da cedere viene accompagnata da dolore: «È un colpo al cuore», dice. Una sofferenza necessaria, perché ormai il criterio è il bisogno.
Economia, dignità, resistenza
Mughini afferma che non ha risparmi consistenti: le sue entrate televisive, un tempo importanti, sono cessate quasi del tutto. L’unico lavoro stabile che ancora fa è un articolo che pubblica ogni martedì su Il Foglio. Con quel compenso “cammina” tra le spese quotidiane, afferma.
Non cede però alla disperazione: dice che prendersi cura della propria vecchiaia è una decisione di dignità — non un cedimento. E che, pur nel bisogno, alcune tappe del suo percorso personale non si possono abbandonare. Restano i libri che non vende, restano i valori, e resta, per quanto possibile, la voce attraverso la scrittura.
Conclusione: un’eredità viva
Quella di Mughini non è solo una storia di difficoltà: è anche un racconto che invita a riflettere sul valore del patrimonio culturale privato, sull’identità che gli oggetti accumulati nel tempo assumono e su come la cultura possa diventare, nei momenti critici, risorsa concreta.
Cedere parte dei suoi libri è, per lui, rinunciare a frammenti della propria anima, ma è anche un modo di continuare a esistere in pubblico, attraverso le parole che restano — negli articoli, nei pezzi che non vende, nella memoria collettiva che quei testi hanno contribuito a costruire.
In fondo, la biblioteca non è solo «ciò che mi resta» ma ciò che può ancora dire al mondo chi è stato, chi è, e chi vorrà essere.