Arte e mostre
Torino inaugura il Serial Killer Museum: un viaggio nella mente dell’orrore
Ha aperto i battenti a Torino il Serial Killer Museum, uno spazio che promette di incuriosire e inquietare al tempo stesso. L’iniziativa, ospitata nel centro della città, si propone come un percorso educativo e psicologico nel cuore più oscuro della mente umana, raccontando le vicende di dieci assassini seriali che hanno lasciato un segno nella storia della criminalità mondiale.
Il progetto nasce con l’intento di esplorare la genesi del male, non per celebrarlo ma per comprenderlo. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di offrire un punto di vista “storico, criminologico e umano” su figure che hanno alimentato paure, incubi e ossessioni collettive.
Un viaggio immersivo tra cronaca e psiche
L’esposizione è strutturata come un percorso multisensoriale. Attraverso audioguide, scenografie realistiche e installazioni digitali, il visitatore si trova a camminare tra dossier investigativi, oggetti autentici, fotografie e ricostruzioni di ambienti legati ai casi trattati. Ogni sezione è dedicata a un diverso protagonista della cronaca nera: da Ed Gein, il “macellaio di Plainfield” che ispirò Psycho, a Ted Bundy, il killer dal fascino ingannevole che terrorizzò l’America negli anni Settanta.
Non mancano i riferimenti italiani, come la “saponificatrice di Correggio” Leonarda Cianciulli, responsabile di tre efferati omicidi tra il 1939 e il 1940. Ogni sala alterna documentazione storica e interpretazioni psicologiche, per indagare il confine sottile tra follia e consapevolezza criminale.
L’allestimento, realizzato con la consulenza di esperti di criminologia e psichiatria forense, mira a stimolare una riflessione etica sul tema della violenza, invitando il pubblico a interrogarsi sul perché la società resti così attratta dal male.
La fascinazione del pubblico per i “mostri”
L’apertura del museo si inserisce in un fenomeno ormai globale: la serial killer culture, una vera e propria corrente culturale alimentata da serie TV, documentari e podcast di successo. Dai casi di Dahmer su Netflix a Mindhunter, il pubblico sembra non stancarsi mai di esplorare le vite dei criminali più spietati, cercando in esse risposte e brividi.
Una curiosità che, in alcuni casi, può sfociare in morbosità. Gli esperti parlano di ibristofilia, una condizione psicologica che porta alcune persone a provare attrazione o empatia verso chi ha commesso delitti efferati. Fenomeni simili si sono già visti in passato, basti pensare alle lettere d’amore ricevute da Ted Bundy o da Charles Manson durante la detenzione.
Proprio per questo motivo, i curatori del Serial Killer Museum hanno voluto chiarire sin dall’inaugurazione che l’intento non è quello di mitizzare, ma di analizzare. L’obiettivo è capire come nascono certe menti criminali, cosa le accomuna e come la società risponde a questi casi estremi.
Tra cultura, etica e voyeurismo
Nonostante il rigore dichiarato dell’approccio, il museo ha già acceso il dibattito. C’è chi lo considera un esperimento culturale coraggioso, capace di affrontare il male con strumenti di studio, e chi lo accusa di trasformare il dolore in intrattenimento.
I responsabili dell’iniziativa difendono la scelta, spiegando che l’allestimento punta sull’impatto emotivo ma con un fine educativo: “Raccontare l’orrore serve a riconoscerlo e a non dimenticare le sue vittime”, si legge nella presentazione ufficiale.
La scelta di Torino come sede non è casuale: la città, da sempre legata alla simbologia esoterica e alla cultura psicologica grazie all’Università e al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, si conferma un luogo ideale per riflettere sul rapporto tra scienza e mistero.
Il male come specchio della società
In definitiva, il Serial Killer Museum è molto più di una curiosità turistica. È uno specchio dei tempi, un luogo dove il confine tra cultura, morbosità e introspezione diventa sempre più sfumato.
Per alcuni visitatori sarà un viaggio nell’orrore, per altri un modo per comprendere meglio la natura umana. In ogni caso, nessuno uscirà indifferente: perché guardare negli occhi il male, anche solo attraverso una teca di vetro, significa interrogarsi su quanto di oscuro, a volte, abiti anche dentro di noi.