Cucina

La crostata di visciole, il dolce (quasi segreto) più buono del Lazio

Più antica di quanto immagini, amata da ebrei e romani, la crostata di visciole è un tesoro dolcissimo della tradizione laziale. Ecco perché non smette mai di incantare.

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    La riconosci al primo morso: friabile, burrosa, con quella nota aspra e seducente che ti esplode in bocca. La crostata di visciole è uno di quei dolci che sembrano usciti da una fiaba, tanto è semplice e insieme raffinata. Un impasto di pasta frolla racchiude un cuore rubino: la confettura di visciole, una varietà di ciliegia selvatica dal sapore più acido e intenso rispetto alla classica amarena.

    Ma questa non è una semplice crostata. È un pezzo di storia, di identità, di resistenza culturale. È il dolce simbolo della tradizione ebraico-romanesca, ancora oggi servito nei ristoranti kosher del Ghetto di Roma e tramandato di madre in figlia. Un tempo si preparava in casa, per Shabbat o per le feste, con uno strato di ricotta sotto la marmellata — nella versione “completa” oggi detta appunto crostata ricotta e visciole — ma la variante solo con la confettura è quella più antica e più diffusa.

    Le visciole, piccole e nervose, sono frutti preziosi. Non si trovano al supermercato, non si raccolgono in serie. Crescono in piccoli orti, in campi selvatici, dove bisogna andarci col cestino e tanta pazienza. La loro stagione è breve, ma i barattoli di marmellata preparati in estate diventano oro puro in inverno. Ecco perché la crostata di visciole sa di casa, di tempo lento, di mani infarinate e dita rubine dopo aver steso l’impasto.

    Per prepararla bastano pochi ingredienti, ma servono ottimi: farina, burro, uova, zucchero, scorza di limone per la frolla; e una confettura di visciole degna di questo nome. Il segreto? Non cuocerla troppo: la frolla deve sciogliersi in bocca, mentre il ripieno deve restare compatto ma succoso.

    In alcune varianti, si aggiunge un tocco di cannella o si sostituisce il burro con lo strutto, come si faceva nelle cucine di un tempo. Ma la regola d’oro è sempre la stessa: lasciarla riposare qualche ora, anche una notte intera. È da fredda che la crostata di visciole dà il meglio di sé. E se ci accompagni un bicchiere di vino dolce, tipo Aleatico o un Passito, è pura poesia.

    La crostata di visciole non cerca il colpo di scena. Non ha glasse, mousse, decorazioni moderne. È bella così com’è: rustica, verace, sincera. Ed è proprio questo il suo incanto.

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