Cucina

Surimi, il “granchio finto” che divide: cosa contiene davvero e come usarlo senza rischi

Spesso chiamato “bastoncino di granchio”, in realtà del crostaceo conserva solo il sapore artificiale. Ecco come nasce, cosa contiene e come sceglierlo con consapevolezza.

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    Dal Giappone alle nostre tavole

    Lo chiamano “granchio finto” e, a ben vedere, l’appellativo è azzeccato. Il surimi – parola giapponese che significa letteralmente carne macinata – è una pasta di pesce tritato e lavorato, oggi diffusa in tutto il mondo nella forma dei noti bastoncini bianchi e arancioni.

    Nato in Giappone nel XIV secolo, il surimi era originariamente un modo per conservare il pesce e riutilizzarne gli scarti. I cuochi giapponesi lo trasformavano in una base versatile per altri piatti, come il kamaboko, il chikuwa o il più famoso narutomaki, il disco bianco con la spirale rosa che compare spesso nelle ciotole di ramen.

    Oggi, però, il surimi che troviamo nei supermercati europei e americani è molto diverso da quello tradizionale. Con la sua produzione industriale di massa, è diventato un alimento comodo e pronto all’uso, ma anche uno dei simboli dei cibi ultraprocessati.

    Cosa contiene davvero il “granchio finto”

    Dietro al suo aspetto invitante e al sapore marino, il surimi nasconde una ricetta piuttosto complessa.
    La base resta il pesce bianco tritato – perlopiù merluzzo dell’Alaska, ma talvolta anche sgombri, carpe o pesci tropicali – che rappresenta solo il 30-40% del totale. Il resto è un mix di additivi, amidi e aromi.

    Gli ingredienti principali del surimi industriale includono:

    • Amidi e fecole, che servono a dare consistenza alla pasta;
    • Aromi artificiali, per imitare il gusto del granchio;
    • Proteine dell’uovo, che migliorano elasticità e tenuta;
    • Sale e zuccheri, per esaltare il sapore;
    • Coloranti naturali o sintetici, responsabili delle tipiche striature arancioni.

    In pratica, il surimi non contiene vera polpa di granchio: il suo gusto deriva da aromi e condimenti che ne simulano l’aroma. Per questo in molti Paesi, tra cui l’Italia, è vietato venderlo come “granchio”, pena l’inganno per il consumatore.

    Dalla tradizione all’industria alimentare

    La forma moderna del surimi è frutto della ricerca giapponese del Novecento. Il tecnologo alimentare Nishitani Yōsuke mise a punto una versione stabile e conservabile, aprendo la strada alla sua diffusione in Asia, negli Stati Uniti e infine in Europa.

    Il processo di produzione prevede tre fasi:

    1. Lavaggio e triturazione del pesce, per ottenere una pasta bianca priva di odori forti;
    2. Impasto con amidi e additivi, per renderlo compatto e modellabile;
    3. Cottura e confezionamento, che danno vita ai bastoncini pronti all’uso.

    Questo tipo di lavorazione prolunga la conservazione ma riduce notevolmente il valore nutrizionale del prodotto originale.

    È salutare? Solo se consumato con moderazione

    Dal punto di vista nutrizionale, il surimi fornisce proteine di discreta qualità, ma anche molti additivi e sodio. Secondo il Ministero della Salute giapponese, un consumo occasionale non rappresenta rischi particolari, ma abusarne può contribuire a un eccesso di sale e zuccheri nella dieta.

    I dietisti consigliano di non considerarlo un sostituto del pesce fresco: il surimi ha meno omega-3, meno minerali e più conservanti. Per questo, è meglio riservarlo a piatti occasionali, come insalate di mare, sushi o poke, senza farne un alimento abituale.

    Come sceglierlo e conservarlo

    Se decidete di acquistarlo, è importante leggere con attenzione l’etichetta. I prodotti migliori riportano:

    • una percentuale di pesce superiore al 40%,
    • la specifica della specie utilizzata,
    • assenza di glutammato e coloranti artificiali.

    Evitate, invece, i bastoncini troppo colorati o con una lunga lista di additivi.

    Per conservarlo, attenetevi alle indicazioni:

    • fresco → in frigorifero e consumato entro 48 ore dall’apertura;
    • surgelato → in freezer, da scongelare lentamente in frigo.

    Un ingrediente da riscoprire con criterio

    Il surimi resta un prodotto interessante per la sua storia gastronomica e per la versatilità in cucina, ma non va confuso con il pesce vero e proprio.

    Usato con misura, può aggiungere un tocco di sapore e colore a piatti freddi o orientali; consumato regolarmente, invece, può trasformarsi in una fonte eccessiva di sale e additivi.

    Come spesso accade nell’alimentazione moderna, la chiave sta nell’equilibrio: conoscere ciò che mangiamo ci aiuta a scegliere con consapevolezza. E in questo caso, il “granchio finto” può restare un piccolo sfizio, ma non un’abitudine quotidiana.

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