Curiosità
“Baby influencer”: quando la visibilità dei figli diventa un rischio per la loro privacy
Minori protagonisti sui social: genitori-influencer li espongono quotidianamente, spesso senza limiti né consapevolezza. Il fenomeno solleva questioni di tutela, consenso e diritto all’oblio che ancora in gran parte restano irrisolte.
Negli ultimi anni, il fenomeno delle famiglie “influencer” ha rapidamente evoluto il suo volto: accanto ai creator che mostrano se stessi in video e post, sono sempre più i minori protagonisti consapevoli o meno di una narrazione social fatta per like, follower e sponsor. Questi piccoli protagonisti, spesso ancora in età prescolare, sono al centro di contenuti pubblici, collaborazioni commerciali e sponsorizzazioni. Ma mentre il business cresce, emergono questioni complesse: chi tutela la privacy dei figli, consenzienti o meno? E quali rischi comporta questa esposizione costante?
Una recente ricerca inglese su influencer materne ha analizzato 5.253 post Instagram, mostrando che nei contenuti oltre il 74% include l’immagine di un bambino e che il 46% dei post che li riguardano sono sponsorizzati. Un’altra indagine segnala come circa il 37,6% dei post includa dati personali del minorenne – nome, età, luoghi frequentati – con impatti potenzialmente duraturi. I rischi non sono solo teorici: la “digital footprint” dei minori inizia come un album virtuale di famiglia e può culminare in esposizioni indesiderate, sfruttamento economico o addirittura usi illecito delle immagini.
Sharenting e baby influencer: confine labile tra famiglia e contenuto
Il termine “sharenting” sintetizza la pratica con cui i genitori condividono in rete non solo foto o video dei figli, ma momenti intimi, quotidiani, spesso al servizio di un progetto digitale. Quando questa condivisione diventa sistematica, strutturata e orientata al profitto, ecco che si parla di “baby influencer”: bambini quasi sempre troppo piccoli per parlare di consenso informato, ma pienamente coinvolti in strategie di visibilità e branding.
In Italia le normative faticano a tenere il passo: finora mancano regole robuste che definiscano limiti chiari a protezione dei minori nei contenuti digitali. Secondo un recente articolo di Agenda Digitale, è aperta la discussione su norme che prevedano la destinazione dei proventi derivanti dai canali con minori, limiti di età per collaborazioni e controlli sugli orari e i contenuti. In pratica, una legge di prossima introduzione mira a stabilire che se un genitore guadagna oltre una certa soglia grazie al figlio, il denaro vada su un conto vincolato intestato al minorenne.
Quali sono i rischi reali per il bambino?
Il minore protagonista online può trovarsi esposto a vari pericoli:
- La mancanza di consenso: i bambini non hanno l’età per capire appieno le conseguenze della presenza online e della monetizzazione della propria immagine.
- Sovraesposizione e vulnerabilità: post frequenti con il volto, nome e dati possono generare una identità digitale permanente e irreversibile.
- Impatto psicologico: la trasformazione della vita quotidiana in contenuto porta a precarietà identitaria, possibile ansia da performance e difficoltà a separare il sé reale dal sé mediatico.
- Sfruttamento economico: contenuti professionali, sponsor e guadagni che si appoggiano sul minore come “marchio” sollevano interrogativi etici e legali.
Verso una tutela digitale e culturale
Per affrontare queste sfide, esperti, associazioni e istituzioni suggeriscono una doppia via: culturale e normativa. È essenziale che i genitori riflettano sul valore della privacy infantile, considerino ogni post come atto responsabile e non solo come “condivisione divertente”. Allo stesso tempo, occorre fare sistema: regolamentazioni trasparenti, limiti all’uso commerciale dell’immagine del minorenne e obbligo di destinare i proventi a favore della sua crescita.
In Italia alcuni progetti di legge sono in fase di esame e mirano a colmare il vuoto normativo in materia di baby influencer, introducendo controlli analoghi a quelli collaudati per le modelle e gli attori minorenni.
L’immagine di un bambino non è mai solo un post: è una traccia digitale, un diritto e una responsabilità. Quando una famiglia decide di trasformare la quotidianità di un figlio in contenuto virale, è chiamata non solo a riflettere sul presente, ma anche sul futuro del minore. E la società, da parte sua, deve garantire che quella visibilità non diventi una forma di esposizione irreversibile.
