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Vecchioni al Salone del Libro: «Ho cantato, scritto, fatto tv. Ma insegnare resta la cosa più bella che ho fatto»

Roberto Vecchioni, ospite del Salone del Libro, ha raccontato il suo legame indissolubile con la scuola e con i giovani: «Il loro linguaggio? È un modo per respirare. Ma torneranno all’umanesimo. Non c’è nulla, lo giuro, che mi sia piaciuto di più che insegnare». Applausi e commozione in sala.

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    «Canto, scrivo, faccio televisione. Ma non c’è nulla, lo giuro, che mi sia mai piaciuto di più che insegnare». Così Roberto Vecchioni ha aperto il suo intervento al Salone del Libro di Torino, davanti a un pubblico che lo ha accolto con affetto e applausi sinceri. Un’ora di racconti, riflessioni e confessioni, tutte attraversate da un filo rosso che non cambia mai: l’amore per la scuola.

    Il professore-cantautore è tornato a parlare di ragazzi, linguaggi e insegnamento. «Sono un uomo del Novecento, il secolo più bello. Sono vecchio, e ne vado fiero. Ma so parlare anche lo slang della Generazione Z. Il loro linguaggio è il ribaltamento dello schifo che c’è fuori. È il modo con cui respirano, si difendono. E poi, lo so, torneranno a parlare la lingua della letteratura. La nostra lingua».

    Non è la prima volta che Vecchioni rivendica il ruolo centrale della scuola nella sua vita. «Ho insegnato per quarant’anni. E ogni volta che uno studente si illuminava davanti a un piccolo spigolo di umanesimo, era una gioia incalcolabile. Informare, comunicare: era il mio modo per vivere».

    Poi arrivano i ricordi più personali, quelli da dietro la cattedra. «Quando insegni sei con un ragazzo cinque o sei ore al giorno. Più di un padre. I professori, spesso, conoscono i figli meglio dei genitori. Quando un ragazzo ha un problema non parla con mamma o papà. Parla con te. Perché si fida. E perché magari a casa nessuno ha voglia di ascoltarlo».

    Vecchioni non risparmia critiche alle famiglie: «L’indifferenza è il peggio. I genitori, oggi, si dividono in due gruppi. Quelli che dicono “faccia studiare mio figlio” e quelli che ti spiegano che forse sei tu a non aver capito com’è fatto. Quando insegnavo io erano un po’ meglio, ma anche allora dicevano tutti le stesse cose. Io non li sopportavo».

    Il messaggio finale è per madri e padri: «Dovete parlare, parlare, parlare. Anche di cose inutili. Dovete leggere i loro libri, ascoltare la loro musica. Entrare nel loro mondo. Altrimenti, quando si chiudono, non troverete più la porta».

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