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Lo psicologo sotto l’ombrellone: sedute gratis tra sabbia e ansia

Donne tra i 30 e i 50 anni, professioniste, madri, lavoratrici stressate: sono loro le prime a cercarlo tra un bagno e l’altro. “Mi raccontano di attacchi di panico, insonnia e ansia cronica. Il mare aiuta a parlare, ma non basta. E gli uomini? Troppo scettici per lasciarsi aiutare”.

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    “L’ansia non si prende ferie, anzi: per molti agosto è il momento in cui esplode”. Alessandro Iacubino, psicologo foggiano di 47 anni, ha deciso di non ignorare il fenomeno e di affrontarlo con un’idea tanto semplice quanto geniale: portare lo studio sulla spiaggia. O meglio, farlo scomparire. “Niente pareti, niente poltrone: ci sediamo su una sdraio o sulla sabbia, parliamo guardando il mare. L’ambiente rilassato fa la differenza. La gente si apre con più facilità”.

    L’iniziativa – che ha battezzato “psicologo in spiaggia” – si svolge sul Gargano, dove Iacubino riceve ogni giorno chi ha voglia o bisogno di una chiacchierata professionale. E funziona: “Ho già parlato con trenta persone, la maggior parte sono donne tra i 30 e i 50 anni. Madri, insegnanti, impiegate, libere professioniste. Tutte con un filo rosso comune: un’ansia che parte dallo stress quotidiano e finisce per diventare cronica”.

    Secondo Iacubino, il lavoro resta il primo grande detonatore: “Il peso della produttività, la precarietà, i carichi familiari e il senso di inadeguatezza si sommano e generano disagi profondi. L’ansia spesso è sottovalutata, ma può diventare invalidante: attacchi di panico, difficoltà a dormire, incapacità di rilassarsi anche in vacanza”.

    A colpire, più ancora dei numeri, è il profilo dei suoi interlocutori: “Persone con vite normali, apparentemente serene, ma che si portano dentro una tensione costante. Quando hanno tempo per fermarsi – proprio come succede in vacanza – quel malessere emerge in tutta la sua forza. È in quei momenti che cercano uno spazio sicuro per raccontarsi. E io provo a offrirglielo”.

    E gli uomini? “Molto più diffidenti. Alcuni si avvicinano, ascoltano, ma poi non parlano. Hanno ancora il mito dell’autosufficienza, l’idea che chiedere aiuto sia una debolezza. Ma chi si affida, scopre che basta poco per cominciare a stare meglio”.

    Lui non prende appuntamenti, non distribuisce biglietti da visita, non lascia nomi. “Chi vuole, viene. Parliamo mezz’ora, a volte un’ora. Non faccio terapia, ma ascolto, oriento, invito eventualmente a rivolgersi a un collega. Molti tornano il giorno dopo per ringraziare. E anche questo, per me, è già tantissimo”.

    Intanto il passaparola cresce, e l’ombrellone di Iacubino è sempre più gettonato. Ma il suo obiettivo resta chiaro: “Normalizzare il malessere, smettere di vergognarsene, fare in modo che chiedere aiuto diventi naturale. Come prendere il sole o fare il bagno”.

    Perché l’ansia, come lui stesso dice con un sorriso, “non è una colpa, è solo un segnale. E ascoltarla, anche d’estate, può essere il primo vero passo per stare meglio”.

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