Cinema

La docuserie “Mr. Scorsese” svela il maestro dietro la cinepresa: viaggio dentro la mente del regista più iconico d’America

In cinque capitoli, Martin Scorsese si racconta come mai prima d’ora: dagli anni a Little Italy all’asma che lo portò in sala, dalla dipendenza alla rinascita creativa. I Rolling Stones fanno da cornice a un viaggio intimo che ripercorre le radici di “Mean Streets”, “Toro Scatenato” e della sua eterna sfida al lieto fine hollywoodiano.

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    La docuserie Mr. Scorsese apre una porta che per anni è rimasta chiusa: quella del laboratorio segreto di uno dei registi più influenti della storia. Con Rebecca Miller come interlocutrice, Scorsese attraversa la sua vita come se stesse raccontando un film: infanzia, fede cattolica, ossessioni, e quell’energia violenta che ha nutrito la sua estetica. Il tutto sulle note dei Rolling Stones, colonna sonora permanente della sua immaginazione.

    Sympathy for the Devil: sentire insieme il buio

    Il documentario si apre con Sympathy for the Devil. Non è solo un omaggio rock: è una chiave interpretativa. “Syn páthos” significa “sentire insieme”, non imitare il male, ma guardarlo negli occhi. Ed è quello che Scorsese ha fatto per cinquant’anni: raccontare la violenza senza assolverla, rifiutando il lieto fine che Hollywood ama rifilare al pubblico.

    L’asma, la finestra e l’inquadratura

    Le origini della sua visione sono sorprendentemente semplici. Da bambino, l’asma lo inchiodava in casa mentre gli altri giocavano in strada. Guardava il mondo dalla finestra: un’inquadratura naturale, come rivela Nicholas Pileggi. È lì che nasce la sua firma visiva. Il resto lo aggiunge padre Principe, guida cattolica che lo avvicina alla letteratura e a una forma di disciplina morale che tornerà in tutto il suo cinema.

    Joe Pesci, i Rolling Stones e gli “sfavoriti improbabili”

    Il racconto accelera come un film di Scorsese quando compaiono gli amici di una vita: De Niro, Pesci, DiCaprio. Joe Pesci diventa il suo “specchio sporco”, la voce dell’America marginale che Scorsese conosce meglio di chiunque altro. I personaggi scorsesiani sono “sfavoriti improbabili”: Travis Bickle, Henry Hill, Jake LaMotta. Uomini che l’America crea e poi finge di non riconoscere più.

    E poi c’è il ritmo: quello dei Rolling Stones. Ogni volta che li usa, Scorsese si raddoppia. Violenza e bellezza viaggiano insieme, come i pugni di Pesci e le urla di Jagger.

    Dipendenze, cadute e resurrezioni

    Scorsese non indora nulla. Racconta la cocaina, la quasi morte, e l’intervento salvifico di De Niro che lo trascina fuori dal letto per Toro scatenato. È l’episodio che trasforma la sua autobiografia in un percorso spirituale. Una resurrezione artistica che culmina anni dopo nell’Oscar per The Departed, consegnato da Spielberg, Coppola e Lucas come un rito di consacrazione.

    Alla fine, Scorsese resta ciò che DiCaprio definisce con semplicità: un uomo che “farebbe il regista a tutti i costi”. E in Mr. Scorsese lo si vede per quello che è sempre stato: un credente delle immagini, uno che del cinema ha fatto la sua chiesa, il suo peccato e la sua salvezza.

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