Musica
Eurovision, bufera sul televoto: meccanismo da rivedere?
La vittoria popolare di Yuval Raphael divide i Paesi partecipanti. Sotto accusa la possibilità di votare fino a 20 volte: “Così si favorisce la manipolazione”. L’Ebu difende il sistema ma apre al confronto
Sembrava una delle edizioni più pacate degli ultimi anni, ma a distanza di giorni l’Eurovision Song Contest 2025 è finito al centro di una bufera internazionale. A scatenarla è stato il televoto, diventato un caso politico-mediatico dopo l’exploit di Israele, capace di conquistare il primo posto nel voto del pubblico con la ballata New Day Will Rise interpretata da Yuval Raphael, salvo poi scivolare al secondo posto nella classifica finale a causa del basso punteggio attribuito dalle giurie nazionali (appena un 14esimo posto complessivo). A trionfare, grazie a un perfetto bilanciamento tra preferenze popolari e giudizi delle giurie, è stata l’Austria.
Ma non è il risultato in sé ad agitare le acque. Il problema, secondo un numero crescente di emittenti europee, è il sistema di televoto, giudicato poco trasparente e troppo facilmente manipolabile. A sollevare i primi dubbi sono state le televisioni pubbliche di Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Islanda e Finlandia, che hanno chiesto chiarimenti ufficiali all’Ebu (European Broadcasting Union), l’organizzatore del concorso. La richiesta condivisa: fare luce sui meccanismi di voto, con un audit completo e la pubblicazione dettagliata dei dati raccolti.
Il cuore della polemica è semplice quanto delicato: ogni spettatore può votare fino a 20 volte, tramite telefono, SMS o app. Una modalità che secondo molti favorisce campagne organizzate e pressioni esterne. E qui il caso Israele diventa emblematico. Non solo ha ottenuto i 12 punti (massimo del televoto) da Paesi come Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Spagna, ma ha beneficiato — come denunciato da più fonti — anche del sostegno di massicce campagne social, talvolta promosse direttamente da canali ufficiali del governo israeliano. Una dinamica che per alcuni, pur non violando formalmente il regolamento, solleva gravi questioni etiche e politiche.
«Un sistema che permette a ogni persona di esprimere 20 voti è esposto a manipolazioni, anche involontarie», ha dichiarato la parlamentare belga Katia Segers, chiedendo un’inchiesta che coinvolga tutti i 37 Paesi in gara. Dello stesso avviso la televisione fiamminga VRT, che parla di «necessità di piena trasparenza» pur senza rilevare anomalie concrete. La finlandese YLE, invece, non ha escluso di proporre una revisione radicale del regolamento.
In Irlanda, l’emittente RTÉ ha chiesto l’immediata pubblicazione dei dati grezzi, mentre la spagnola RTVE ha preannunciato una mozione formale per discutere dell’attuale architettura del televoto nella prossima assemblea dell’Ebu. Il clima insomma è teso. Soprattutto nei Paesi dove l’exploit israeliano è apparso non del tutto giustificato dall’entusiasmo popolare, ma legato a dinamiche esterne, in un anno segnato dalle tensioni internazionali.
Le emittenti olandesi AVROTROS e NPO sono state tra le più critiche: «L’Eurovision dovrebbe essere un evento apolitico, e invece sta diventando sempre più il riflesso di spaccature geopolitiche», ha detto un portavoce, alludendo al peso crescente di lobby e governi nel pilotare voti e consensi.
La risposta dell’Ebu non si è fatta attendere. Il direttore dell’evento, Martin Green, ha difeso la regolarità del processo: «Ogni voto è stato verificato da un organismo indipendente, tutti i dati sono stati raccolti e validati secondo procedure trasparenti». Ha poi aggiunto che l’organizzazione è «in contatto con diverse emittenti per raccogliere feedback», e che il sistema utilizzato «resta il più avanzato al mondo». Sulle accuse di campagne governative, Green ha risposto: «Non ci sono stati comportamenti contrari al regolamento vigente».
Ma il clima resta incandescente. Alcuni osservatori fanno notare che il televoto è sempre stato una spina nel fianco dell’Eurovision, già in passato bersaglio di sospetti di voto di scambio e favoritismi regionali. Ora, con l’espansione dei social network e la possibilità di mobilitazioni virali, il tema della equità nel voto popolare torna a essere centrale. E l’Ebu sarà chiamata, nei prossimi mesi, a una scelta chiara: difendere lo status quo o cambiare le regole per proteggere la credibilità del concorso.
Intanto, mentre si discute, si avvicina l’edizione 2026. E il caso Israele potrebbe lasciare uno strascico difficile da ignorare. Perché se è vero che l’Eurovision non è una competizione politica, nessuno può più negare che la politica, a volte, entra dalla porta di servizio. Anche se indossa una giacca di paillettes.