Musica
Sessant’anni di soddisfazione: il rock immortale dei Rolling Stones
Era il 1965 quando Keith Richards compose il riff più famoso del rock nel dormiveglia. Sessant’anni dopo, “Satisfaction” è ancora il simbolo di una generazione inquieta che non ha mai smesso di cercare
Il rock ha un cuore sporco e ribelle che batte da decenni, ma poche volte ha battuto con la stessa potenza di quel riff abrasivo che nel 1965 cambiò tutto. “(I Can’t Get No) Satisfaction” non è solo una canzone: è uno schiaffo generazionale, un grido che attraversa il tempo. Sessant’anni dopo la sua uscita, l’urlo di insoddisfazione lanciato dai Rolling Stones continua a risuonare nelle casse, nei cuori e nella cultura.
Keith Richards, come racconta la leggenda, si svegliò nel cuore della notte e, ancora mezzo addormentato, accese il registratore. Suonò due minuti di riff, poi russò per quaranta. Quella sequenza distorta e geniale, registrata quasi per caso, diventò l’apertura di uno dei brani più iconici della storia. La scintilla era accesa. Pochi giorni dopo, Mick Jagger aggiunse le parole: rabbia, noia, frustrazione. Un uomo – ma anche un’intera generazione – che cerca soddisfazione, e trova solo pubblicità, imposizioni, niente.
All’epoca era pura dinamite. Il testo venne considerato troppo esplicito per le radio britanniche: i riferimenti al sesso e al rifiuto del consumismo erano troppo forti. Ma negli Stati Uniti, la canzone uscì lo stesso, e in poche settimane schizzò in cima alle classifiche. Quel pedale fuzz collegato alla chitarra, che distorceva tutto come un’allucinazione sonora, segnava una svolta. Non era solo una questione musicale: era culturale, politica, emotiva.
Il mondo del 1965 era un’esplosione. Guerra in Vietnam, rivoluzioni studentesche, lotte per i diritti civili. “Satisfaction” non descriveva semplicemente un disagio: lo gridava, lo amplificava, lo rendeva manifesto. I Rolling Stones non volevano piacere a tutti. Anzi. Erano i “cattivi ragazzi” del rock, i contraltari torbidi e sensuali dei Beatles. Se i Fab Four rappresentavano il lato solare della ribellione, gli Stones portavano in scena il buio, la tensione sessuale, la fame di libertà che non si placava mai.
Da allora, “(I Can’t Get No) Satisfaction” è diventata un punto di riferimento assoluto. È stata reinterpretata in decine di versioni, dalle anime soul di Otis Redding alle voci robotiche dei Devo. È stata remixata, parodiata, cantata in ogni angolo del pianeta. Ma nessuno è mai riuscito a replicare davvero quella miscela perfetta di rabbia e groove, di ironia e disincanto.
Nel 2025, l’anniversario dei sessant’anni viene celebrato in tutto il mondo. Sono previste ristampe in vinile, edizioni speciali, documentari e – ovviamente – concerti. I Rolling Stones, che ancora calcano i palchi con la stessa energia di allora (e con più rughe, ma con la stessa fame), non rinunceranno a suonarla nei loro live. Perché Satisfaction è il momento che tutti aspettano, l’istante in cui il pubblico urla in coro il proprio dissenso al mondo.
E forse è proprio questa la sua forza. In un’epoca in cui tutto cambia alla velocità di un clic, in cui la musica sembra fluire ininterrottamente senza fermarsi su nulla, questo brano resta. Resta con il suo riff tagliente, con quella voce ruvida, con la sua protesta mai del tutto sopita. È un’eterna adolescenza, un rifiuto a crescere nel modo in cui ci si aspetta.