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Selvaggia Lucarelli: «Invitata sulla Flotilla, ho avuto paura. Ma il coraggio dei Don Chisciotte sta nel loro fallimento»

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    C’è un treno fermo a Firenze, migliaia di studenti sui binari e una voce che racconta, con tono insolito, un sentimento condiviso: quello di aver assistito a un risveglio collettivo. Selvaggia Lucarelli, nel suo ultimo intervento, ha scelto di rivelare una verità personale che intreccia paura, rimpianto e consapevolezza. «Ero stata invitata a partire con la Global Sumud Flotilla quest’estate» scrive, «ma ho avuto paura. Paura di morire e di prendermi una scena che non era la mia».

    Un racconto che non cerca assoluzioni. Lucarelli riconosce di essersi tirata indietro, di aver preferito restare “a terra”, sperando che altri potessero incarnare quella ribellione. «Potevo continuare a fare la mia parte da qui, senza dovermi occupare, maldestramente, di una vela. Ma ho un po’ rimpianto di non aver fatto parte di questo pezzo di storia».

    Il cuore della riflessione non è però l’assenza, ma il ritorno in vita di un sentimento collettivo. «Negli ultimi vent’anni vedevo piazze vuote e social pieni. Attivismo da tastiera, tutto forma e niente sostanza. Poi è partita la Flotilla». Una manciata di barche, destinate a non arrivare mai a Gaza, ha avuto la forza di produrre ciò che due anni di bombe e assedio non erano riusciti a generare: la mobilitazione.

    A Milano, Napoli, Roma e Torino le piazze si sono riempite come non accadeva da tempo. Lucarelli parla di «sentimento puro e cristallino», di «un’emozione romantica che ti impedisce di restare fermo». Le sue parole rimandano all’idea di un’epopea moderna, con protagonisti che sanno già di andare incontro alla sconfitta. «Non c’era nessuna possibilità di successo, se per successo intendiamo lo sbarco a Gaza. Ma la forza dei Don Chisciotte sta proprio lì, nel fallimento».

    E mentre i leader politici annaspano, stretti tra comunicati e calcoli, la Generazione Z è tornata per strada. Cartelli, cori, kefiah: non più post preconfezionati ma partecipazione fisica, concreta. «Ho visto per la prima volta dopo tanti anni – scrive – l’indignazione trasformarsi in azione. Non ho visto brillare nemmeno i soliti commentatori, che continuano a strizzare l’occhio a Israele per paura di perdere quel poco di potere che gli resta. La storia sta per cancellarli».

    La conclusione è amara e insieme piena di possibilità: «Le piazze, nel chiedere che Gaza sia liberata, chiedono anche una nuova classe dirigente, nuove parole, nuove azioni». È il fallimento che diventa seme. Ed è lì che si annida la forza dirompente degli eroi romantici.

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