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Da Fiorello a Jovanotti, fino ad Amadeus: la vita segreta di Claudio Cecchetto, il grande burattinaio dello show-business italiano
Claudio Cecchetto non è solo un nome, è un marchio di fabbrica. A settant’anni suonati, il “Quincy Jones italiano” racconta mezzo secolo di musica, televisione e intuizioni in “People from Cecchetto”, il documentario di Rai Uno che celebra il suo genio: da Fiorello a Jovanotti, da Amadeus a Max Pezzali, da Fabio Volo a Sabrina Salerno.
Nella sua palazzina tondeggiante di Milano, firmata da Angelo Mangiarotti, Cecchetto parla come mitraglia, lo stesso ritmo con cui negli anni Ottanta conduceva Discoring. «Dietro un successo c’è sempre una persona. Io ho sempre puntato sul bravo ragazzo, che non vuol dire coglione. Era la mia teoria: giacca e cravatta al posto del chiodo, inchino finale e niente sigarette. Funziona sempre».
E di “bravi ragazzi” ne ha inventati tanti: Fiorello, Jovanotti, gli 883, Amadeus, Pieraccioni, Gerry Scotti, Sandy Marton. «Il talento è un dono, il successo è un mestiere», ripete come un mantra. Anche quando ricorda i Måneskin: «All’inizio pensai: ma che roba è? Non si può suonare così. Poi si sono messi a studiare, e li ho ammirati».
Nel docufilm Cecchetto si rivede per le vie di una Milano grigia chiedere “signora, sa cos’è un disc jockey?”. Nessuno lo sapeva. Da lì partì tutto: i locali come il Panthea e il Divina, la disco come religione pop, la radio come laboratorio di idee. «Il Divina era il nostro Studio 54», racconta.
E poi Sanremo: «Nel 1979 il Festival era morto. Ravera ebbe l’intuizione giusta e io ci misi la voce veloce: niente orchestra, più ritmo, più musica. Così rinacque». Il suo “Gioca Jouer” del 1981 fu il primo tormentone interattivo della tv: un TikTok ante litteram, con molte più royalties.
Cecchetto non ha mai smesso di scovare talenti e scontrarsi con i potenti. «Berlusconi si arrabbiò quando mi associai a De Benedetti: “Perché non sei venuto da me?”. Gli dissi: “Galliani mi aveva detto che non eravate interessati”».
E oggi, a chi gli chiede se prenderebbe Giambruno nella sua scuderia, sorride: «Solo se impara a ballare. La tv, come la vita, ha bisogno di ritmo».