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“Gioca Jouer? Mi rimproveravano perché amavo i Led Zeppelin. Ma piacciono anche a me, che c*zzo c’entra”: il rock e i ricordi di Claudio Cecchetto

«Facevo il dj solo per divertirmi. In radio mi offrivano da mangiare, le ragazze mi chiamavano e ci si dava appuntamento dicendo che giacca avevamo… poi io ne mettevo un’altra: se non mi piaceva me ne andavo». Così Cecchetto ripercorre la sua storia, tra follie anni ’70, successo e nostalgia.

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    «Mi rimproveravano perché a loro piacevano i Led Zeppelin, ma piacciono anche a me, che c*zzo c’entra!». In una sola frase, Claudio Cecchetto racchiude tutta la sua filosofia: fare musica senza barriere, con coraggio e leggerezza. Quella che lo ha portato, nel 1981, a inventare Gioca Jouer, la canzone più snobbata dai critici e più amata dai dj. Un gioco – dice oggi, a 73 anni – che ha resistito al tempo: «Mi dicevano “sono capace anch’io di fare una canzone con i verbi”, e io rispondevo “e allora perché non l’hai fatta?”».

    Negli anni Settanta, prima del successo, Cecchetto viveva di radio e improvvisazione. «Facevo il dj a Milano e una sera mi si avvicina Angelo Borra di Radio Milano International. Mi chiese se volevo lavorare con loro. Gli domandai quanto si guadagnava e lui rispose: niente. Il giorno dopo ero lì». Non servivano contratti, bastava la passione. «Facevamo pubblicità al ristorante sotto la radio e in cambio mangiavamo gratis. Parlavamo dei vestiti in diretta e i negozi ce li regalavano».

    E poi, ammette, c’era anche il lato romantico. «Le ragazze telefonavano in radio e si organizzavano gli incontri. Per riconoscerci ci dicevamo come eravamo vestiti, io dicevo che avevo una giacca blu ma poi ne mettevo un’altra. Se non mi piaceva me ne andavo, se mi piaceva dicevo che ero io e mi scusavo per la giacca sbagliata».

    La svolta arriva con Mike Bongiorno e la televisione: Discoring, Sanremo, la consacrazione. Ma Cecchetto resta un cacciatore di talenti più che una star. È lui a scoprire Jovanotti: «Mi parlarono di un ragazzo un po’ fuori di testa. Saltava sul palco, si buttava sul pubblico. Da quel momento i TuTu, il gruppo che stavo producendo, non mi interessarono più. Dissi ai miei: andiamo a prendere questo qua. È l’artista a cui sono più legato, è anche il padrino di mio figlio Jody».

    Poi arriva Fiorello. «Quando lo presi in radio, dopo tre mesi mi chiamò Celentano: “Questo ragazzo qua curalo, è una potenza”. Qualcosa mi insospettì: la sera prima non avevo visto Adriano. Era Fiorello che imitava la sua voce».

    Non mancano le ombre: «Con Max Pezzali la situazione non è risolta. Non ho litigato con nessuno, ma bisognerebbe chiedere a lui da cosa è nata. Io posso solo immaginarlo».

    Oggi Cecchetto si divide tra i progetti artistici e la politica locale, sempre con la stessa curiosità che aveva quando trasmetteva gratis: «Mi divertivo, andavo a letto contento e non vedevo l’ora di tornare in radio. Forse è questo il segreto: non aver mai smesso di giocare».

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