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Come Velasco nessuno mai: tre Mondiali, tre finali. Dai trionfi con i ragazzi alla favola delle ragazze
Il tecnico argentino, già protagonista dei trionfi maschili degli anni ’90, ora ha condotto le azzurre all’ultimo atto del Mondiale di Bangkok. Dopo il 3-2 al Brasile firmato da Egonu, Velasco ha ricordato la storica semifinale del 1990, preludio al primo titolo iridato dell’Italia.
C’è un destino che si ripete, e porta il nome di Julio Velasco. L’allenatore argentino, che da decenni incarna l’idea stessa di “maestro di sport”, ha scritto un nuovo capitolo della sua leggenda: tre volte commissario tecnico dell’Italvolley ai Mondiali (1990, 1994 e 2025), tre volte in finale. Due con i ragazzi, adesso con le ragazze. Nessuno come lui.
La semifinale mondiale di Bangkok è stata una battaglia che resterà scolpita nella memoria. Le azzurre hanno sofferto, sono finite sotto 2 set a 1, sembravano sul punto di cedere davanti al muro e alla potenza del Brasile. Ma il copione era già stato scritto: l’Italia di Velasco non muore mai. Così è arrivata la rimonta, punto dopo punto, fino al tie-break più incandescente di questo torneo. Il 15-13 finale è stato messo a segno da Paola Egonu, l’opposto che sa trasformare la pressione in potenza pura.
Quando la palla è caduta, Julio Velasco non si è trattenuto. Ha urlato, ha esultato davanti alle brasiliane, in una scena che ha ricordato a tutti la sua prima grande impresa con la maglia azzurra. «È stata come la semifinale del 1990», ha detto a caldo. E non è un paragone casuale. Allora, a Rio de Janeiro, l’Italia maschile piegò il Brasile in un altro 3-2 infinito, conquistando il pass per la finale di Maracanãzinho. Poi arrivò il trionfo su Cuba, il primo storico titolo mondiale della nostra pallavolo.
Velasco, all’epoca, cambiò per sempre la percezione del volley in Italia: trasformò un gruppo di giovani talenti in una squadra invincibile, la “generazione di fenomeni”. Oggi, a distanza di 35 anni, la sua impronta è la stessa: lucidità tattica, carisma, capacità di trasmettere alle giocatrici il senso della grande occasione.
Il Mondiale di Bangkok ha un valore ancora più speciale perché segna la fusione tra la sua storia e quella di un movimento femminile in continua crescita. Velasco non si è limitato a guidare tecnicamente, ma ha creato un clima mentale, una convinzione che si è vista nei momenti più difficili. E quando Egonu ha firmato il match point, l’abbraccio della squadra con il suo allenatore è stato il simbolo di questa alchimia.
Non è un caso che il paragone con il 1990 sia arrivato spontaneo. Perché il Brasile resta, da sempre, il nemico più affascinante, l’avversario da superare per sognare il titolo. E perché Velasco, davanti a quelle maglie gialle, ritrova la scintilla che lo ha reso immortale.
Ora l’Italia è in finale e tutto può succedere. Ma, comunque vada, la storia ha già parlato: come Velasco, nessuno mai.