Sport
Le lacrime di Simone Anzani: “Ho rischiato di smettere, ma oggi sono tornato per amore e gratitudine”
«Questa partita è speciale… dopo due anni difficili in cui ho rischiato di smettere di giocare». Con gli occhi lucidi e la voce rotta, Simone Anzani ha raccontato la sua rinascita sportiva e umana: due interventi, la paura, la forza della famiglia e il ritorno in campo con gli Azzurri.
Ci sono partite che contano per una carriera, e partite che valgono una vita intera. Quella di Simone Anzani ai Mondiali di volley appartiene alla seconda categoria. Dopo la sirena finale, il centrale della Nazionale è rimasto immobile, le mani sul viso, mentre le lacrime gli scendevano copiose. «Questa partita è speciale per me, qualcosa di incredibile… dopo due anni difficili in cui ho rischiato di smettere di giocare», ha confessato in diretta tv ai microfoni di Rai2, con la voce tremante e lo sguardo perso nella commozione.
Due anni fa gli era stato diagnosticato un grave problema cardiaco. Per un atleta, il cuore non è solo un organo: è il simbolo stesso del movimento, del ritmo, della vita. Sentirlo vacillare significava mettere in discussione tutto, persino il respiro. Anzani ha affrontato due interventi delicati, mesi di paura e silenzi, la sensazione di non poter più tornare in campo. Ma non ha mollato. Ha lottato come in una partita infinita, circondato dall’affetto della moglie, delle figlie, dei genitori e della sorella.
«Ho rincorso un’Olimpiade che rappresentava il mio ultimo grande sogno, e oggi sono qui grazie a chi mi ha sostenuto quando non ci credevo più», ha detto. Nel suo pianto c’era tutto: la paura, la gratitudine, la consapevolezza di essere sopravvissuto.
Quando il cuore ha ricominciato a battere al ritmo della rete, Simone è tornato a saltare, a murare, a urlare. E questa volta, ogni gesto aveva il peso di una rinascita. «Questo è per voi, per l’amore e per la pazienza», ha aggiunto, rivolgendosi ai suoi cari.
Sul podio, mentre risuonava l’inno, Anzani non guardava le telecamere ma il cielo. Forse pensando a quanto vicino era stato al momento di dire addio. Oggi, quel cuore riparato batte più forte che mai. E il suo pianto, più che una debolezza, è la vittoria più grande di tutte: essere ancora lì, vivo, in campo, a giocare la sua partita più bella.