Televisione
Carlo Conti: “Sanremo è una festa, non una gara di share. Quando nessuno mi chiederà più una foto, smetterò”
Il direttore artistico del Festival racconta l’inizio dei lavori per la prossima edizione: “Ho già ricevuto brani, sento molto la responsabilità della scelta delle canzoni. I social? Amplificano tutto. E io, alla fine, sogno solo una rubrica di pesca”

“Il Festival ha bisogno della Rai e la Rai ha bisogno del Festival. È una macchina incredibile, non solo nelle cinque serate: un evento deve essere un evento”. Carlo Conti è arrivato a Dogliani con la consueta giacca scura e il sorriso calmo di chi conosce bene la macchina della televisione. È lui, nella prima giornata del Festival della Tv, ad accendere il palco dopo nomi come Francesca Fialdini, Ludovico Einaudi e Ornella Muti. Ad accoglierlo è Alessandra Comazzi, che lo intervista davanti a una platea attenta.
Conti parla di Sanremo con la leggerezza di chi ha già vissuto quell’esperienza e la voglia sincera di rimettersi in gioco: “Io Sanremo lo vivo come una grande festa. Non mi pongo il problema di fare meglio di chi mi ha preceduto. L’importante è fare un bel festival. Un punto in più o in meno di share non cambia la mia vita. Dormo sereno, tranne a fine novembre, quando mi sveglio pensando a qualche ritornello che ho escluso. Sento molto la responsabilità della scelta delle canzoni”.
Il lavoro per la prossima edizione è già cominciato: “Qualcosa sta già arrivando. Brani dai Big o presunti tali, e altri dalle case discografiche. Per i giovani ho una commissione che mi aiuta, ma i Big li sento solo io. Accentro molto, è vero, ma ho anche un gruppo di lavoro fantastico di cui mi fido”.
Parlando di Sanremo, Carlo Conti non si sottrae alle riflessioni sui social e sull’effetto amplificatore della rete: “Qualunque cosa succeda viene gonfiata, trasformata. È una panna che si autoalimenta. È come quando gioca la Nazionale: tutti diventano ct, tutti hanno qualcosa da dire”.
Poi, una riflessione più ampia sul presente e futuro della Rai: “Oggi si sta vivendo un ricambio generazionale, come quando noi – io, Bonolis, Fazio – abbiamo iniziato a raccogliere il testimone da Baudo, Corrado, Vianello, Bongiorno. Ora tocca a noi rallentare e lasciare spazio ai quarantenni”. Su Stefano De Martino, Conti non ha dubbi: “È forte, simpatico, preparato, ha fatto tanta gavetta. E poi è belloccio. Basta con questi conduttori scuri in tv!”, scherza.
Il momento più toccante arriva quando parla dell’amico Fabrizio Frizzi: “La sua scomparsa è stata decisiva per farmi tornare a vivere a Firenze. Mio figlio Matteo un giorno mi chiese se poteva tifare Roma: da lì ho capito che dovevo esserci di più. Oggi faccio il pendolare e non mi pento”.
Infine, il sogno nel cassetto e il futuro: “Vorrei una rubrica di pesca a Linea Blu, ma quando vedono come pesco non me la fanno fare”, ride. E aggiunge: “Sono poco social, su Instagram metto foto familiari e delle mie uscite a pesca, anche quando non prendo nulla. Sono soddisfazioni da condividere”.
E quando smetterà? “Quando andrò al supermercato e nessuno mi chiederà più una foto. Allora capirò che è arrivato il momento”. Ma per ora, tranquilli: Carlo Conti è ancora sulla cresta dell’onda. E non ha nessuna intenzione di scendere.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Televisione
Lo sbarco in USA degli inconsapevoli Beatles secondo Martin Scorsese (trailer)
Il documentario prodotto da Martin Scorsese – in onda sulla piattaforma Disney+ – racconta l’arrivo americano dei Fab Four tra isteria collettiva e consapevolezze amare. Un amarcord in bianco e nero che ha ancora molto da dirci, anche oggi.

7 febbraio 1964: i quattro Beatles atterrano all’aeroporto JFK. Il presidente Kennedy è stato assassinato da pochi mesi. L’America risulta scossa, vulnerabile, affamata di speranza. In quel clima di lutto e incertezza, quattro ragazzi di Liverpool si accingono a cambiare tutto. E lo fanno con la leggerezza di chi non sa ancora di rappresentare una leggenda.
È da quel momento che parte Beatles ’64, il documentario diretto da David Tedeschi e prodotto da Martin Scorsese (con Paul McCartney e Ringo Starr come coproduttori), disponibile su Disney+. Un viaggio tra immagini d’archivio rare, interviste inedite e dietro le quinte pieni di verità.
L’isteria beatlemania
73 milioni di spettatori per l’Ed Sullivan Show. Una cifra da capogiro, mai vista prima. Le fan impazziscono, i negozi vendono tutto con la scritta “Beatles” sopra. È la nascita del mito. Eppure, nel documentario, quello che colpisce non è solo il successo, ma il contrasto tra la potenza dell’evento e la leggerezza dei protagonisti. Paul, John, George e Ringo appaiono rilassati, ironici, giovanissimi. Rispondono a tono alle provocazioni dei giornalisti, ridono, leggono il giornale in hotel. Non c’è distanza tra la superstar e il ragazzo normale. Il loro segreto? Non prendersi troppo sul serio.
Il sogno americano… visto da dietro le tende
Eppure c’è un sottotesto. Paul lo dice chiaramente: “Pensavamo che l’America fosse la terra della libertà. Poi siamo arrivati…”. Le fan sono quasi tutte bianche, borghesi, con lo stesso taglio a carré. L’integrazione è una parola lontana. I Beatles, con le loro cover di Little Richard e Smokey Robinson, portano la musica afroamericana al grande pubblico, ma lo fanno sbiancandola involontariamente. È il compromesso dell’epoca. E Lennon, proverbialmente inquieto e fine osservatore, avverte: “C’è troppa violenza in questo paese”. A saper come andrà a finire, suonano come parole in codice. O come una premonizione in grado di mettere i brividi…
Una storia che parla (ancora) a noi
Il documentario emoziona, diverte, fa riflettere. Fa tenerezza vedere fan che regalano libri di scienza, fa sorridere la fuga a Harlem per sentirsi “invisibili”, fa pensare il contrasto tra le urla delle ragazzine e le giacche e cravatte sul palco. Un mondo che non c’è più… e che pure ha lasciato tracce ovunque. Il tocco di un maestro come Scorsese si avverte nella scelta dei materiali e nel ritmo. Non è solo una celebrazione, è una lente sulla società di ieri per capire quella di oggi. Ed è bellissimo che a raccontarla siano gli stessi protagonisti, oggi ottantenni, con la stessa voglia di suonare e dire la loro.
Più di un documentario: un ponte tra generazioni
Un invito a sedersi insieme sul divano, tra genitori e figli, tra fan di sempre e scettici curiosi. A parlare. A ricordare. O a scoprire per la prima volta chi erano quei quattro ragazzi che, senza saperlo, hanno insegnato al mondo a sognare (e a scuotere la testa a ritmo).
Televisione
Scoppia la polemica sull’Isola: Mario Adinolfi contro le famiglie arcobaleno
Durante l’ultima puntata de L’Isola dei Famosi, Mario Adinolfi ha scatenato una bufera mediatica con una frase controversa: “Due papà non sono una famiglia”. Le sue parole hanno provocato una dura reazione tra i naufraghi e acceso il dibattito sulle famiglie omogenitoriali. Un confronto che va oltre l’intrattenimento e tocca temi profondamente attuali.

Non solo noci di cocco e strategie occulte: L’Isola dei Famosi si trasforma, a sorpresa, in un’arena di confronto sociale. A scatenare la polemica è stato Mario Adinolfi che, durante una conversazione tra i naufraghi, ha espresso la sua visione conservatrice sulla famiglia. “Due papà non sono una famiglia”, ha affermato, sottolineando come, secondo lui, solo un padre e una madre possano rappresentare una genitorialità “completa”. Adinolfi ha aggiunto:
“L’amore può arrivare da chiunque ma i ruoli di madre e padre non sono intercambiabili. Un bambino, crescendo, si chiederà comunque chi è il suo vero padre.”
Le reazioni dei concorrenti: “Essere genitori significa esserci”
Le dichiarazioni di Adinolfi non sono rimaste senza risposta. Il primo a esporsi è stato Mirko Frezza, che ha risposto con forza: “Se cresco un bambino con amore, quel figlio è mio. Non servono legami di sangue. Tu parli di onestà? Ma per favore!”
Anche il comico Omar Fantini ha difeso le famiglie omogenitoriali: “Due padri che amano e crescono un figlio ogni giorno sono genitori a tutti gli effetti. La genitorialità non è una questione biologica.”
A sostegno di questa visione si è unita anche Chiara Balistreri, condividendo la sua esperienza personale: “Sono cresciuta con un uomo che non è il mio padre biologico, ma che ha dato tutto per me. L’amore e la presenza quotidiana sono ciò che conta davvero.”
Famiglia biologica o affettiva? Il dibattito travolge i social
Le frasi di Adinolfi hanno immediatamente diviso l’opinione pubblica. Sui social, l’hashtag #IsolaDeiFamosi è diventato trending topic, con utenti divisi tra chi difende la famiglia “tradizionale” e chi sostiene una visione più inclusiva e contemporanea. Questo confronto riflette un dibattito sociale più ampio: che cos’è oggi una famiglia? È ancora legata alla biologia o si definisce attraverso l’amore, l’educazione e la cura?
Una questione culturale più che mai aperta
L’intervento di Adinolfi ha riportato al centro dell’attenzione un tema da anni al centro del dibattito politico e culturale in Italia: il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e dei loro diritti. Molti considerano oggi superata l’idea che solo un padre e una madre biologici possano garantire una crescita equilibrata a un bambino. Psicologi, educatori e numerose famiglie testimoniano che ciò che realmente conta è la qualità del legame, non la genetica.
La televisione come specchio della società
Il programma in questione, attraverso questa accesa discussione, dimostra che la televisione può ancora rappresentare uno specchio dei cambiamenti sociali in atto. Il dibattito su cosa definisca una famiglia è tutt’altro che chiuso. Ma una cosa è certa: la realtà è fatta di tante forme d’amore, tutte degne di rispetto e ascolto.
Televisione
Perché Stefano De Martino veste sempre uguale ad Affari Tuoi? Dietro c’è una scelta precisa
Stefano De Martino è il volto rivelazione dell’access prime time. Alla guida di Affari Tuoi ha conquistato il pubblico anche grazie a uno stile inconfondibile. Ma c’è un motivo dietro quella camicia bianca sempre uguale, che non è solo moda: è identità. E omaggio, forse, a un maestro.

Lui la giacca non la mette. Mai. Anche quando il resto dell’outfit grida “serata importante”, Stefano De Martino resta fedele al suo look: pantalone elegante, camicia bianca slim fit, maniche arrotolate, cravatta sottile. Il fisico da ex ballerino fa il resto. Ma dietro a questa coerenza stilistica – che qualcuno chiama monotonia, ma che in realtà è strategia – si nasconde una scelta ben precisa
Da quando ha preso il timone di Affari Tuoi, ereditando niente meno che la poltrona di Amadeus, De Martino ha deciso di presentarsi ogni sera con lo stesso abito di scena. E non per pigrizia. Ma per costruire un’identità visiva forte, riconoscibile, quasi teatrale. In un’epoca in cui ogni conduttore cambia outfit come cambia canale, lui ha scelto la strada opposta: una divisa, come fanno i grandi.
E in effetti De Martino non nasconde di ispirarsi a uno dei più grandi di sempre, Renzo Arbore, maestro del garbo e dell’improvvisazione. «Lui è unico, non si può imitare», ha detto più volte. Ma il senso del palcoscenico, quello sì, lo ha interiorizzato. E lo sta dimostrando con ascolti solidi e un gradimento in crescita.
Dalla danza alla conduzione, il passo non è stato breve, ma deciso. Nato a Torre del Greco, cresciuto tra bar, fruttivendoli e sogni di Broadway, Stefano conquista la scena con Amici, vola a New York con una borsa di studio, gira il mondo coi Complexions Contemporary. Poi, come spesso accade ai veri performer, capisce che il suo posto non è più tra le quinte, ma al centro della scena.
E oggi quel centro lo occupa con naturalezza: battuta pronta, sorriso sempre acceso, un’ironia che buca lo schermo. Il look essenziale aiuta. Non distrare lo spettatore, non sovraccaricare la scena. L’eleganza, per lui, non è ostentazione: è funzionale alla narrazione.
La camicia bianca, perfettamente aderente, le maniche arrotolate, quasi da artista a fine giornata, e quella cravatta sottile, che smorza la formalità e aggiunge personalità. Ogni dettaglio è calcolato. E quando qualcosa funziona, non si cambia.
Il pubblico ha colto il messaggio. E lo premia. Perché in un panorama televisivo dove tutto sembra provvisorio, Stefano De Martino è riuscito a imporsi con una cifra riconoscibile, non solo nel modo di parlare, ma anche in quello di vestirsi. E alla fine, anche questo è spettacolo.
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