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Sic transit gloria mundi

I deliri ministeriali di Valditara: quando il patriarcato non esiste e la colpa è sempre degli stranieri

Le parole del ministro dell’Istruzione durante la presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin gelano la sala e sollevano polemiche.

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    In una giornata in cui il dolore si intreccia alla speranza, le parole di Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, risuonano come un pugno nello stomaco. Nel corso della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, istituita in memoria della giovane vittima di femminicidio, il ministro ha sfoggiato un’arrogante negazione della realtà, proclamando che il patriarcato è un fenomeno del passato e spostando il discorso sulla violenza contro le donne su un piano di colpe attribuite all’immigrazione illegale.

    Il patriarcato è morto. Anzi no, forse. Ma comunque non esiste.
    Con toni da cattedra polverosa, Valditara si è lanciato in un’arringa che, se non fosse drammatica, sarebbe grottesca. “Il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975”, ha dichiarato, mostrando un’ignoranza spaventosa della struttura culturale e sociale che ancora permea la nostra società. Per lui, il problema si riduce a “residui di maschilismo”, un’elegante perifrasi per indicare il vero colpevole, un sistema che continua a giustificare e perpetuare il controllo e la violenza degli uomini sulle donne.

    L’immigrazione come capro espiatorio.
    Ma non è tutto: Valditara non si è accontentato di negare il patriarcato, ha anche pensato bene di tirare in ballo l’immigrazione. Secondo il ministro, “l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche alla devianza derivante dall’immigrazione illegale”. Un’affermazione che non solo sposta il dibattito su un piano razzista, ma che svuota di significato il dolore e la memoria di una giovane ragazza uccisa da un uomo italiano, con un nome e un cognome, cresciuto in una società che insegna il possesso e non il rispetto.

    La dignità di Gino Cecchettin contro l’arroganza ministeriale.
    Di fronte a questa deriva, la dignità di Gino Cecchettin, padre di Giulia, emerge ancora più luminosa. Le sue parole non hanno accusato, non hanno puntato il dito, ma hanno chiamato alla responsabilità: “Grazie all’amore di Giulia, porteremo un messaggio di educazione nelle scuole”. Un invito che Valditara sembra non avere colto, troppo impegnato a difendere una visione ristretta e ideologica che tradisce la complessità del problema.

    Reazioni politiche e sdegno trasversale.
    Le parole del ministro hanno suscitato un’ondata di sdegno. Laura Boldrini le ha definite “un intervento imbarazzante”, Gianni Cuperlo ha parlato di dichiarazioni “fuori sincrono con l’importanza della giornata”, mentre la deputata Pd Simona Malpezzi le ha bollate come “sbagliate nel merito e nel metodo”. Eppure, Valditara non si è lasciato smuovere, limitandosi a lamentare la solita “rissa della sinistra”, come se fosse la mancanza di pacatezza e non la sostanza delle sue affermazioni il vero problema.

    Il patriarcato non sarà morto, ma il buon senso sì.
    Mentre la sala della Regina di Palazzo Montecitorio avrebbe dovuto essere un luogo di ricordo e impegno, si è trasformata nell’ennesimo palcoscenico per deliri ministeriali. E il patriarcato? Non è morto, ministro Valditara. Vive e prospera proprio grazie a chi, come lei, preferisce negarlo invece di affrontarlo.

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      Patrizia Scurti e la mail di Natale di Giorgia Meloni: errori grammaticali, misteri tecnologici e una cancellazione degna di un thriller

      Un invito allo scambio di auguri che finisce per scatenare ironie, sospetti e interrogativi su privacy e sicurezza. Quando una mail istituzionale si trasforma in un caso nazionale.

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        C’è qualcosa di irresistibilmente surreale nella storia della mail di Natale inviata dalla segretaria particolare di Giorgia Meloni, Patrizia Scurti. Non bastavano gli strafalcioni grammaticali degni di un tema delle medie corretto in rosso, né il pathos melodrammatico di certe frasi che sembrano uscite da un traduttore automatico in stato confusionale. No, ci voleva anche il mistero della mail che scompare, una trama da Mission: Impossible ambientata a Palazzo Chigi.

        La mail che nessuno dimenticherà (anche se ci hanno provato)

        Il 3 dicembre, alle 18:15, arriva nella casella dei dipendenti di Palazzo Chigi una mail che dovrebbe essere un invito allo scambio di auguri di Natale con la premier. Dovrebbe, appunto. Perché il testo è un capolavoro involontario di pathos e caos grammaticale:

        “Anche quest’anno il Presidente Giorgia tutti coloro che, quotidianamente, lavorano Meloni desidera rinnovare la tradizione dello scambio di auguri.”

        Un incipit che potrebbe essere interpretato come una poesia dadaista, se non fosse che la mail continua con altre perle:

        “E’ una bella occasione per ringraziare al servizio dell’Italia con impegno e competenza.”

        Un esempio perfetto di come l’italiano possa essere stuprato in poche righe. L’ironia si diffonde rapidamente tra i destinatari, ma non c’è tempo per apprezzare a fondo l’opera: poco dopo, la mail viene cancellata dai server. Letteralmente. Come se non fosse mai esistita.

        La cancellazione: magia o intrusione?

        Ed è qui che il caso diventa un thriller tecnologico. Perché, diciamocelo, chiunque abbia mai lavorato con un client di posta sa che una mail ricevuta non si cancella magicamente. Qualcuno deve aver avuto accesso alle caselle di posta dei dipendenti per eliminare quella fatidica comunicazione. Ma come è stato possibile? Un errore può essere comprensibile (seppur poco tollerabile da chi guadagna quasi 180 mila euro l’anno), ma la cancellazione di massa sfiora la paranoia istituzionale.

        “Ma non è che ci spiano?”
        “Come hanno fatto a cancellarla?”

        Queste le domande che serpeggiano tra i corridoi di Palazzo Chigi. Una preoccupazione legittima, considerando che la stessa Meloni ha spesso espresso la sua sfiducia verso il personale che lavora per lei. Ma ora, pare, la sfiducia sia reciproca: “E noi possiamo fidarci di loro?”

        Patrizia Scurti: la donna che tutto può (o quasi)

        Patrizia Scurti, “la padrona” come la chiama affettuosamente la premier, è da sempre il braccio destro di Giorgia Meloni. Non solo gestisce l’agenda, gli incontri e le telefonate (anche quelle con i famosi prankster russi Vovan & Lexus), ma sembra avere un’influenza che va ben oltre i confini del suo ufficio con vista su Piazza Colonna.

        La mail di Natale non è certo il primo scivolone associato alla segretaria particolare della premier. Dalle dimissioni di Mario Sechi, apparentemente legate a contrasti con lei, alla gestione del controverso incontro con Elon Musk, Scurti sembra essere sempre al centro di ogni nodo cruciale. Ma questa volta, il mix di errori grammaticali e cancellazioni misteriose rischia di offuscare la sua fama di “mostro di efficienza”.

        L’ironia: l’unica costante

        Tra i dipendenti, l’ironia è ormai l’unico strumento per affrontare la situazione. “Forse è meglio andare per funghi, come suggeriva Grillo,” scherza qualcuno. Ma l’umorismo non riesce a nascondere del tutto il disagio. La vicenda della mail cancellata solleva dubbi più ampi sulla sicurezza e sulla trasparenza delle comunicazioni interne.

        Un Natale da dimenticare

        Quello che doveva essere un semplice scambio di auguri si è trasformato in un caso che unisce in modo tragicomico inefficienza e paranoia. Una storia di Natale in cui la grammatica è vittima, la tecnologia complice e il buon senso… latitante. E mentre ci chiediamo se la mail cancellata sia stata davvero un errore o un’operazione deliberata, una cosa è certa: il Natale a Palazzo Chigi sarà ricordato non per lo spirito di festa, ma per il mistero della mail scomparsa e per quel “Presidente Giorgia tutti coloro che lavorano Meloni”.

        Forse, più che auguri, servirebbe un correttore automatico. E un esperto di cyber security.

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          Sic transit gloria mundi

          Il ciuffo più famigerato della tv pronto a fare il bis: dopo i disastri in Mediaset, Andrea Giambruno punta alla Rai

          Nonostante lo scandalo che ha distrutto carriera e vita privata, l’ex “signor Meloni” sogna un programma tutto suo. La Rai sarà davvero pronta a correre il rischio?

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            Andrea Giambruno sembra deciso a giocare la sua ultima carta per tornare sotto i riflettori. Dopo i disastri professionali e personali che lo hanno travolto, il giornalista cerca una via per riscattarsi e riprendere il suo posto davanti alle telecamere. Il nuovo obiettivo? La Rai, che potrebbe rappresentare un inaspettato trampolino di rilancio. Ma per un personaggio che ha trasformato due fuori onda in un boomerang devastante, il ritorno in video è tutt’altro che scontato.

            I danni in casa Mediaset sono stati sotto gli occhi di tutti: due clip, mandate in onda da Striscia la notizia, hanno svelato il lato peggiore del conduttore. Nel primo fuori onda, Giambruno si era lanciato in commenti sessisti sulle sue colleghe, lasciandosi andare a battute volgari che poco si addicono a un professionista della tv. Nel secondo, aveva superato ogni limite con proposte indecenti che includevano orge collettive per “stemperare lo stress” sul lavoro. Il tutto condito da atteggiamenti spavaldi e un tono che definire fuori luogo è un eufemismo.

            La reazione di Mediaset è stata rapida e decisa. Andrea Giambruno è stato sospeso dal video, pur rimanendo formalmente in azienda. Una mossa che sa di compromesso: troppo clamore per licenziarlo, ma impossibile immaginare di rimetterlo davanti alle telecamere. Nemmeno le scuse pubbliche, affidate a un’intervista a Dritto e rovescio, sono riuscite a migliorare la sua posizione. L’immagine del giornalista pentito, con il volto contrito e le parole studiate, non ha convinto né l’azienda né il pubblico. Il danno d’immagine, del resto, era ormai irreparabile.

            Nonostante tutto, Giambruno non ha rinunciato al sogno di un ritorno in grande stile. Dopo il fallimento del tentativo di partecipare a Belve, il programma di Francesca Fagnani su Rai 2, sembra aver messo gli occhi su un progetto ancora più ambizioso: uno show tutto suo, magari proprio negli studi Rai. L’idea di un suo rilancio nella tv pubblica, però, rischia di sollevare più di qualche sopracciglio. Il passato recente pesa come un macigno, e il suo nome è ancora associato a uno dei casi mediatici più imbarazzanti degli ultimi anni.

            Anche sul fronte personale le cose non vanno meglio. La fine della relazione con Giorgia Meloni, premier e madre di sua figlia, ha aggiunto ulteriore caos alla sua vita. Dopo anni di apparente stabilità familiare, Giambruno si è ritrovato solo. I suoi tentativi di ricostruire un equilibrio, come la breve frequentazione con Federica Bianco, attivista leghista e aspirante attrice, si sono rivelati un buco nell’acqua. Quella che era stata descritta come un’amicizia speciale non si è mai trasformata in una relazione stabile, lasciandolo di nuovo in un limbo sentimentale.

            Quanto al possibile supporto della sua ex compagna, Meloni sembra intenzionata a mantenere un atteggiamento distante. La premier ha preferito smarcarsi dalla vicenda, concentrandosi sul proprio ruolo istituzionale e lasciando che l’ex compagno gestisca i suoi problemi in autonomia. Essere il padre della figlia della premier potrebbe avere qualche vantaggio indiretto, ma Giorgia non sembra disposta a intervenire direttamente per aiutarlo. Del resto, un coinvolgimento più attivo avrebbe il rischio di legare la sua immagine a una vicenda che il pubblico percepisce ancora in modo estremamente negativo.

            Il quadro che emerge è quello di un uomo che tenta disperatamente di riprendere in mano le redini della sua vita e della sua carriera, ma che si trova a combattere contro una montagna di difficoltà. La Rai, ammesso che decida di offrirgli una possibilità, potrebbe rappresentare l’ultima chance per Giambruno di rientrare nel giro della televisione che conta. Ma un eventuale fallimento sarebbe un colpo mortale per una carriera già pesantemente compromessa. Il conduttore, intanto, continua a coltivare la speranza di tornare protagonista.

            La domanda ora è: riuscirà Andrea Giambruno a convincere la Rai a puntare su di lui? E soprattutto, il pubblico è pronto a perdonarlo e accoglierlo di nuovo davanti alle telecamere? Il rischio di un nuovo passo falso, in un contesto già delicato, è altissimo. Il ciuffo più famigerato della tv sembra deciso a giocare la sua ultima carta, ma il futuro resta incerto. Quel che è certo è che, al momento, il suo nome resta indissolubilmente legato a uno dei periodi più controversi della televisione italiana. Per ora, ogni speranza sembra scontrarsi con la realtà di un ambiente televisivo che non perdona facilmente e che non ha dimenticato il clamore mediatico suscitato dai suoi errori. La strada è tutta in salita, e il conduttore lo sa. Una salita che, per lui, potrebbe rivelarsi l’ultima occasione.

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              Agenti italiani in missione vacanza in Albania: milioni spesi per saune, gite, resort di lusso e centri per migranti lasciati desolatamente vuoti

              Le telecamere nascoste del programma albanese Piranjat rivelano il soggiorno extra-lusso delle forze dell’ordine italiane a Shengjin. Tra spa, passeggiate sul lungomare e serate in discoteca, la missione migranti si trasforma in un disastroso spreco di denaro pubblico.

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                Sauna ogni giorno “perché qui è tutto gratis”, gite turistiche a Scutari, Durazzo e Tirana, lunghe passeggiate, serate in discoteca. È il racconto della “missione” in Albania che arriva dalla viva voce degli agenti delle forze dell’ordine rimasti in servizio a Shengjin, la cittadina albanese in cui sorge uno dei due centri voluti dal governo Meloni per trasferire parte dei naufraghi soccorsi davanti alle coste italiane. Operazione tentata due volte e due volte fallita, per i giudici del tribunale di Roma, perché le norme europee non la consentono.

                L’hotspot di Shengjin, così come il centro di trattenimento nella vicina Gjader, sono rimasti vuoti, ma le forze dell’ordine – ospitate all’hotel Rafaelo, un resort superlusso – sono rimaste. Nelle ultime settimane, il contingente di 220 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri è stato ridotto di circa la metà, ma nella cittadina albanese rimangono comunque un centinaio di divise. Gli agenti, stando a quanto svelato dalla trasmissione Piranjat in onda su Syri TV, principale emittente all news albanese schierata all’opposizione del primo ministro Edy Rama, sembrano più impegnati in attività turistiche che operative. “Ci pagano per fare i turisti,” raccontano senza vergogna.

                Il programma, munito di telecamere nascoste, ha messo a segno uno scoop che ha fatto il giro del web e dei giornali. Hanno mandato due inviate giovani e carine ed è bastato per sciogliere la lingua ai poliziotti italiani, ben pronti a fare i cascamorto e a invitare le due giornaliste sotto copertura a pranzo in camera loro con la scusa che non potrebbero entrare nella sala da pranzo riservata agli italiani. Gli uomini in divisa, senza troppi filtri, hanno ammesso che il loro ruolo lì è sostanzialmente inutile. “Siamo venuti per lavoro, ma ci pagano per fare i turisti,” ripetono mentre si offrono di accompagnare le giornaliste al mercato, sul lungomare e persino in discoteca.

                “Se il tuo ragazzo è geloso, ci hanno detto che qui possono esserci problemi,” ammicca uno degli agenti. Una frase che appare direttamente collegata al vademecum di comportamento distribuito alle forze dell’ordine italiane in servizio a Shengjin. Nel documento, si sottolineava come gli approcci con le ragazze locali fossero assolutamente da evitare per non causare scontri con i fidanzati, descritti come “molto gelosi”. Nonostante le raccomandazioni ufficiali, le immagini mostrano che alcuni degli uomini in divisa non hanno resistito alla tentazione di tentare avances, trasformando la loro “missione” in un’ulteriore occasione per flirtare.

                Non è mancato il momento comico-grottesco, quando un agente si è lanciato in un’ode alla sauna: “Ogni giorno vado in sauna per eliminare le tossine. È gratis, pagano lo Stato italiano e l’Unione Europea.” Intanto, tra una gita a Tirana e una passeggiata a Durazzo (“bellissima!”), gli hotspot continuano a essere vuoti e il conto per i contribuenti italiani lievita.

                Con l’intero soggiorno a carico del governo italiano, che include un trattamento internazionale di 100 euro al giorno per ciascun agente oltre a vitto e alloggio, l’operazione si sta trasformando in un boomerang mediatico e politico. Non solo gli agenti sembrano disinteressati al loro incarico, ma il fallimento dei centri di trattenimento è stato già sancito dai tribunali italiani. I giudici di Roma hanno stabilito che le norme europee non permettono di trattenere migranti in Albania, rendendo di fatto inutile tutta l’operazione.

                Le reazioni politiche sono state immediate. Matteo Renzi ha definito “scandaloso” lo spreco di risorse: “Invece di avere agenti nelle periferie e nelle stazioni italiane, li lasciamo a spasso in Albania con i soldi dei cittadini. Ma davvero chi ha votato Giorgia Meloni può tollerare tutto questo?” Elly Schlein ha rincarato la dose, definendo il caso “l’ennesimo schiaffo alla sanità e all’istruzione pubblica,” mentre Riccardo Magi ha chiesto l’intervento della Corte dei Conti per valutare un possibile danno erariale.

                Nel frattempo, a Shengjin, le giornate continuano tra spa e lungomare. Mentre i centri per migranti restano vuoti, i resort per gli agenti sono pieni. Un’immagine che sembra destinata a diventare il simbolo di una gestione fallimentare.

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