Sic transit gloria mundi
La Lucarelli, Fedez. il silenzio di Iovino e un bell’assegno
Selvaggia Lucarelli sostiene che Fedez abbia comprato il silenzio di Cristiano Iovino con un assegno, coprendo il pestaggio e manipolando l’opinione pubblica. Ma sarà tutto vero?
Selvaggia Lucarelli continua la sua campagna anti Fedez. E questa volta rivela che il rapper “si è comprato il silenzio di Cristiano Iovino staccandogli un bell’assegno dopo l’aggressione”. Un accusa grave, che se fosse dimostrata avrebbe probabilmente anche strascichi legali. Ma cosa è successo veramente? Se Fedez, come ormai sembra, ha mentito dicendo di non essere stato presente al pestaggio significherebbe, per dirla con Selvaggia, “che ha picchiato, ha fatto picchiare o ha assistito al pestaggio di un uomo per futili motivi. E ha pure mentito sul pestaggio, accusando i giornalisti di essere dei fessi”.
Difficile, questa volta, dare torto alla giurata influencer di Ballando con le Stelle. Anche se il fatto che abbia il dente avvelenato con Fedez è innegabile. Ma vediamo di capirci di più: tra le clausole dell’accordo tra Fedez e Iovino ci sarebbe anche il silenzio. Fedez avrebbe finto di non sapere nulla del pestaggio, accusando i giornalisti di inseguire fake news. E Iovino avrebbe preso i soldi per stare zitto. Un vero stratega!
E non è tutto. Lucarelli sostiene che Fedez ha delegittimato la vittima, dicendo che se non ha denunciato, allora non è stata picchiata. Un maestro della logica! Ha coperto i suoi amici picchiatori, che hanno minacciato pure testimoni e i poveri vigilantes che hanno assistito alla scena. E quando la notizia è venuta a galla? Lui si è tranquillamente presentato al Salone del Libro a parlare di salute mentale ai giovani, cercando applausi e lamentandosi della stampa che lo perseguita. Ma certo, cosa c’è di meglio?
Selvaggia Lucarelli fa notare come Fedez non abbia mai ammesso di aver raccontato frottole mentendo a spada tratta e denigrando i giornalisti. E come avrebbe risolto tutto? Semplice: pagando la vittima perché non sporga querela, evitando così un processo per lesioni e percosse aggravate. I soldi fanno miracoli, non è vero?
Ovviamente, con i soldi si sistema tutto: la fedina penale con gli accordi tra avvocati, la reputazione con un po’ di beneficenza. Facile, no? Peccato che l’accusa di rissa, per cui non serve la querela di Iovino, probabilmente porterà comunque al processo. Un piccolo dettaglio fastidioso!
E parlando di Iovino, anche su di lui Selvaggia non scherza: “nega di conoscere chi lo ha picchiato e non denuncia. Ma, a proposito, qualcuno ha capito che lavoro fa, vista la sua vita agiata?”
La Lucarelli sottolinea inoltre che l’accordo tra le parti è frutto di settimane di lavoro silenzioso degli avvocati. “Un bel assegno in cambio della rinuncia alla querela (aveva tempo fino al 23 luglio) per il pestaggio tra il personal trainer Cristiano Iovino e il nostro Fedez. Un colpo di genio per eliminare la possibilità per la Procura di Milano di contestare il reato di lesioni e percosse per il quale Fedez è già indagato”.
Non tocca l’accusa di rissa, che procede d’ufficio, ma l’accordo punta a smorzare l’inchiesta del PM Michela Bordieri, aperta dopo il pestaggio del 22 aprile. E, soprattutto, serve a far calare un bel silenzio su quanto accaduto quella notte, con una clausola di riservatezza che mette tutto a tacere.
Gli investigatori lo avevano capito da subito: la resistenza di Iovino a presentare querela, nonostante i segni evidenti dell’aggressione, era chiaramente legata alla speranza di un accordo legale. E Fedez? Ha negato pubblicamente di essere mai stato in via Traiano quella notte. Ma con l’accordo, ammette implicitamente di esserci stato? No, non è automatico, assicura il suo staff. La Procura, però, non è d’accordo e continua le indagini.
Resta poi la questione della rissa, che coinvolgerebbe entrambe le parti. Ma dimostrare che sia stato uno scontro tra due fazioni e non un pestaggio otto contro uno, è un’altra storia. I carabinieri, quella notte a casa di Iovino, hanno trovato due amici, ma non è chiaro se fossero con lui in strada o se li abbia chiamati per il secondo round dopo la lite in discoteca. Che soap opera!
Selvaggia Lucarelli conclude dicendo che “questo è un perfetto ritratto del personaggio e della sua capacità di destreggiarsi tra le pieghe della giustizia e dell’opinione pubblica”. Insomma, alla prossima puntata del Fedez Show!
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Non solo Giorgia Meloni: i conti bancari di politici e imprenditori spiati illegalmente
Licenziato e sotto inchiesta, il dipendente ha creato un clima di sorveglianza illegale che la procura di Bari sta investigando. Tra i nomi spiati figurano quelli di La Russa, Emiliano e il procuratore nazionale antimafia Melillo.
Forse non tutti i complotti che Giorgia Meloni vede intorno a sé sono immaginari. Perché, diciamocelo, quella dell’underdog della politica è una parte che le riesce piuttosto bene. Ma, ahimè, sembra che qualcuno ci abbia messo del suo per darle ragione. Spunta infatti la notizia che un dipendente di Intesa Sanpaolo si è preso la briga di sbirciare migliaia di conti correnti, tra cui quelli di personaggi noti e… guarda caso, proprio di membri del governo.
Ora, immaginate la scena: Giorgia Meloni, la sorella Arianna, l’ex Andrea Giambruno, e persino i ministri Santanché e Crosetto, tutti con i loro conti bancari passati ai raggi X da questo “curioso” impiegato. E no, non è che parliamo di uno scivolone tecnico: il tizio è stato licenziato in tronco (giusto l’8 agosto) e ora è sotto inchiesta. La privacy dei conti bancari, specie di quelli ipersensibili, non è proprio roba da prendere alla leggera.
L’inchiesta, portata avanti dalla procura di Bari, si aggiunge alla lunga lista di spiate e hackeraggi che sembrano essere diventati il passatempo preferito in Italia. La mole di dati spiati? Enorme, dicono le fonti. E non solo i politici sono finiti nel mirino: imprenditori, sportivi, militari… tutti schedati, come se fosse un catalogo Ikea. Insomma, il funzionario si è fatto prendere la mano.
Tra i tanti “curiosati”, oltre ai già citati volti noti del governo, ci sono pure il presidente del Senato Ignazio La Russa, Raffaele Fitto e governatori di regioni come Michele Emiliano e Luca Zaia. Per non farsi mancare nulla, si è aggiunto pure il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
Quindi, cara Giorgia, forse stavolta il complotto c’è davvero…
Sic transit gloria mundi
Il ministro dell’apparenza Carlo Nordio e la guerra santa dichiarata a giornalisti e magistrati
Il ministro della Giustizia ha deciso di concentrare i suoi sforzi non sulla lotta alla criminalità organizzata o sulla prevenzione delle violenze domestiche e dei femminicidi, ma sull’approvazione di leggi controverse e sulla limitazione delle intercettazioni. Non manca, poi, l’impegno nel cercare di mettere un bavaglio alla stampa libera, attaccando chiunque tenti di opporsi al suo operato, mentre le carceri italiane versano in condizioni sempre più disastrose.
Che Carlo Nordio sia considerato “uno dei ministri più attivi” del governo fa sorridere. E la dice lunga sul livello dei suoi colleghi di Governo. O forse è considerato super impegnato per la sua inclinazione a destreggiarsi tra interviste e convegni, a cui presenzia spesso e volentieri. Ma basta guardare al suo operato per chiedersi: attivo in cosa, esattamente? Di certo, non lo è nel contrastare la criminalità organizzata o nell’affrontare l’aumento preoccupante di violenze domestiche e femminicidi che colpiscono il nostro Paese. O nel trovare soluzioni per risolvere i problemi tremendi delle carceri. In realtà, l’unica cosa in cui appare non solo attivo, ma addirittura solerte, è scontrarsi con giornalisti, stampa libera e, soprattutto, con i suoi stessi colleghi magistrati alla ricerca di tutti i modi impossibili per rendere difficile se non inutile il loro lavoro.
In due anni di governo, Nordio ha portato a casa una sola legge, quella sull’abuso d’ufficio, approvata il 25 agosto. Ed è così raffazzonata che probabilmente la Corte Costituzionale dovrà rimediare ai danni creati rispedendola al mittente. Insomma, un ministro attivo? Forse sì, ma certamente non nel dare risposte concrete ai problemi che affliggono il sistema giudiziario italiano.
In questo clima di inazione, Nordio trova però il tempo per ribadire, in ogni occasione pubblica, che non ci sono margini per sollevare questioni di costituzionalità sul reato soppresso di abuso d’ufficio. Ma la realtà lo contraddice: da Perugia è già partito un ricorso, e altri seguiranno. Sarà la Corte Costituzionale a decidere se il vuoto normativo creato da questa riforma sia accettabile o meno. Nel frattempo, il caos regna.
Norme confuse e rischi per la giustizia
Non basta l’incertezza creata dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Nordio ha introdotto anche una norma che impone ai pubblici ministeri di interrogare i potenziali arrestati prima di procedere con l’arresto. Un pasticcio che sta già causando problemi alle indagini. Come segnalato da diversi procuratori, tra cui quello di Foggia, far conoscere agli indagati le prove a loro carico potrebbe inquinare le indagini, alimentare alibi fasulli e persino scatenare intimidazioni.
Una battaglia ideologica, non strutturale
La battaglia di Nordio non sembra rispondere a nessuna delle necessità concrete della giustizia italiana, bensì a una visione puramente ideologica. Anziché concentrarsi su interventi più urgenti e strutturali, aggrava la repressione verso chi manifesta dissenso e chi, come la stampa libera, ha il compito di vigilare su un mondo – quello della politica – che spesso preferisce le tenebre alla luce, in modo da nascondere le proprie malefatte spazzandole sotto il classico tappeto. Il Guardasigilli sembra più un garante di interessi di parte che un paladino della giustizia.
Il disastro delle carceri
Nel frattempo, nelle carceri italiane, le condizioni restano disastrose. Dall’inizio dell’anno, 72 detenuti e 7 agenti penitenziari si sono tolti la vita. Un dato allarmante, ma il nostro prode ministro della Giustizia sembra preferire sfilate internazionali, come l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a Londra, anziché affrontare le problematiche quotidiane del sistema penitenziario.
E mentre questo disastro si consuma, Nordio firma insieme a Matteo Piantedosi un disegno di legge sulla sicurezza, che prevede una miriade di nuovi reati improbabili. Che, contro il suo stesso credo garantista, finiranno per riempire le prigioni di nuove tipologie di detenuti: quelli che fanno i blocchi stradali, gli ecologisti troppo accesi, i giornalisti non allineati. Il provvedimento è stato così deriso dall’ex presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, che in un editoriale lo ha definito “inutile e pericoloso”, una vera e propria “lenzuolata di reati à go-go”. Tra le assurdità della nuova legge, c’è anche una norma che prevede di incarcerare i figli delle detenute madri, un provvedimento che non risolve alcun problema ma rischia solo di peggiorare le già precarie condizioni delle prigioni italiane.
La difesa dei potenti e il bavaglio alla stampa
Un’altra battaglia su cui Nordio è molto attivo è quella contro la legge Severino, che obbliga gli amministratori locali condannati in primo grado a dimettersi. Per il ministro, questo provvedimento viola la presunzione di innocenza e andrebbe modificato. Ma non si può fare a meno di chiedersi chi Nordio stia cercando di proteggere: i cittadini comuni o i colletti bianchi? La risposta sembra abbastanza chiara.
E poi c’è la questione delle intercettazioni. Nordio ha fatto capire che il suo obiettivo è quello di limitarne al massimo l’uso, riducendo la loro durata a 45 giorni, a meno che non si tratti di reati gravissimi. Questo, insieme alla riduzione degli ascolti tramite il Trojan e all’impossibilità di intercettare le conversazioni tra avvocati e clienti, mostra chiaramente la sua volontà di ridurre le possibilità di indagine, non di ampliarle.
Come se non bastasse, il ministro sta cercando di mettere un bavaglio alla stampa, vietando la p Come se non bastasse, il ministro sta cercando di mettere un bavaglio alla stampa, vietando la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Un provvedimento che ha sollevato forti critiche da parte di associazioni come la Fnsi e l’Ordine dei Giornalisti, che hanno definito la norma “liberticida” e contraria ai principi democratici. La direttiva sulla presunzione di innocenza del 2016 non richiede affatto un bavaglio del genere. Eppure, Nordio sembra deciso a procedere in questa direzione, appoggiato da esponenti della maggioranza.
L’ambiguità delle regole e l’attacco alla giustizia
Appare evidente, allora, che dietro l’insistenza con la quale la destra invoca una revisione delle regole in senso restrittivo, e più in generale nel modo in cui continua ad affrontare le questioni della giustizia, vi sia una motivazione di natura ideologica più che giuridica. Lo fanno pensare anche certe ambiguità, per esempio nel distinguere tra regole che riguardano le indagini, e quindi il lavoro dei magistrati, e regole che riguardano la diffusione delle notizie, e quindi il lavoro dei mezzi di informazione.
Nell’ambiguità, infatti, diventa più facile usare eventuali eccessi della stampa per proporre un irrigidimento delle regole che riguardano gli strumenti investigativi a disposizione di chi indaga. Ed è proprio ciò che sta accadendo: un attacco coordinato che mira non tanto a tutelare i diritti dei cittadini, ma a limitare gli strumenti di chi indaga e di chi racconta la verità.
Sic transit gloria mundi
Fedez e la Saga tra tifosi e guai: la discesa agli inferi del re dei social che gioca a fare il cattivo
Non è una serie Netflix, ma la storia di Federico Lucia, alias Fedez, è diventata un perfetto mix di polemiche, donne bellissime,, legami pericolosi e il solito cocktail di prepotenza e potere che devasta l’élite italiana.
La saga di Fedez sembra una di quelle serie truci che si divorano su Netflix. Un romanzo della caduta di un idolo nazionalpop, intriso di guai giudiziari, tensioni coniugali e frequentazioni pericolose. Solo che non è finzione, è la cruda realtà di Federico Lucia, il ragazzo della porta accanto che diventava “il polemista di tutti”, il papà perfetto che sembrava avere tutto sotto controllo. Un modello per molti, forse fino a un paio d’anni fa.
Ora la sua vita somiglia sempre più a una discesa verso i guai: legami con tifoserie malavitose, una separazione turbolenta con Chiara Ferragni, e quel nome che spunta nelle inchieste sulla ndrangheta, non per accuse dirette, ma per contatti poco edificanti.
E pensare che c’era un tempo in cui l’Italia si era affidata a lui. Era il polemista di riferimento, perché la politica era divisa, era il papà che mostrava il lato dolce della paternità mentre tanti altri trentenni faticavano tra precariato e difficoltà quotidiane. Lo seguivamo non solo per le sue canzoni o per Chiara, ma perché insieme rappresentavano un fenomeno culturale. Una coppia reale con il reality show a portata di social.
Ora però tutto è cambiato. Niente più bambini sui social, una separazione amara, e lo spuntare del suo nome in ambienti non proprio raccomandabili. Certo, Fedez non è indagato, ma la sua frequentazione con Christian Rosiello, guardia del corpo arrestata che partecipò al pestaggio di Christian Iovino, il ragazzo del caffè presunto amante di Ilary Blasi, uno con cui il cantante aveva litigato in discoteca .E Luca Lucci, capo ultrà con precedenti per narcotraffico, non passano inosservate. E il fatto che a uno come Lucci, Fedez aveva chiesto di trovare una persona fidata «che potesse occuparsi della sicurezza sua e della sua famiglia» la dice lunga sulle sue scelte di vita, Che oramai, puntualmente, fanno scattare i gossip e preoccupano i fan.
Lui, che voleva lanciare il soft drink Boem con la benedizione di Lucci a San Siro, sembra ormai immerso in un mondo fatto di locali fighetti, criminali e discussioni da social. A chiedere protezione proprio a uno come Lucci per la sua sicurezza e quella della famiglia, ci si chiede se Fedez abbia perso del tutto il contatto con la realtà o, come dicono in molti, “serà ‘nammurato” dei guai.
E mentre i pettegolezzi continuano, tra vacanze turbolente in Costa Smeralda e botta e risposta con il rapper Tony Effe, Fedez ci regala un altro pezzo della sua complessa storia. Una saga che riflette l’Italia di oggi, fatta di criminalità, tifo sfrenato, influencer, abiti griffati e quella cocaina che sembra non risparmiare nessuno.
La serie, se qualcuno volesse girarla, potrebbe chiamarsi “Secondo anello”, come quello di San Siro, terreno di gioco di Lucci e simbolo di questa narrazione tra folla e corruzione. E mentre la saga continua, noi ci chiediamo dove si arriverà alla prossima puntata.
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