Cronaca Nera
La madre di Marco Pantani non si arrende
Tonina Pantani lancia pesanti accuse sulla morte del figlio: “Non è stato un incidente, è stato ucciso”. Rabbia e dolore contro le istituzioni del ciclismo e il Tour de France.
Tonina Pantani, madre del leggendario ciclista Marco Pantani, ha rilasciato dichiarazioni forti e scioccanti sulla morte del figlio. Secondo lei, Marco non è morto per un tragico incidente, ma è stato ucciso. In un’intervista straziante, Tonina ha espresso una rabbia profonda verso le istituzioni del ciclismo, puntando il dito in particolare contro il Tour de France, accusato di aver avuto un ruolo nella tragica fine del “Pirata”. Le sue parole hanno riaperto ferite mai guarite e alimentato nuove discussioni sulle circostanze della morte di Marco Pantani.
Accuse e dolore di una madre
Tonina Pantani non ha mai accettato la versione ufficiale sulla morte del figlio, trovandosi spesso sola nella sua battaglia per la verità. Nel corso degli anni, ha raccolto documenti, testimonianze e prove che, secondo lei, dimostrano come Marco sia stato vittima di un complotto. “Non perdonerò mai chi ha distrutto mio figlio”, ha dichiarato, accusando esplicitamente il mondo del ciclismo e le sue istituzioni di aver voltato le spalle a Marco quando più aveva bisogno di supporto.
Il ruolo del Tour de France
Particolarmente dure sono le parole di Tonina Pantani contro il Tour de France. Secondo la madre del campione, il prestigioso evento ciclistico avrebbe contribuito a creare un ambiente ostile e pericoloso per Marco, culminato poi nella sua tragica morte. “Il Tour de France ha una parte di colpa in tutto questo”, ha affermato Tonina, sottolineando come le pressioni e le accuse infondate abbiano devastato suo figlio sia mentalmente che fisicamente.
Una verità ancora da scoprire
Le accuse di Tonina Pantani riaccendono un dibattito mai realmente chiuso sulla morte del “Pirata”. Nonostante le inchieste ufficiali abbiano concluso che si trattò di un incidente, molti, inclusa la famiglia Pantani, continuano a chiedere giustizia e verità. La determinazione di Tonina a far luce su quanto accaduto a Marco riflette la sua convinzione che vi siano ancora molte zone d’ombra e domande senza risposta.
L’eredità di Marco Pantani
Indipendentemente dalle controversie sulla sua morte, Marco Pantani rimane una delle figure più iconiche del ciclismo. Le sue vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France, il suo stile unico e la sua personalità carismatica hanno lasciato un’impronta indelebile nello sport. La lotta di Tonina Pantani per la verità non è solo una questione personale, ma anche un tentativo di preservare l’eredità e l’onore di suo figlio.
La battaglia di Tonina Pantani continua, alimentata dal dolore e dalla determinazione di una madre che non si arrenderà mai finché non avrà ottenuto giustizia per Marco.
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Cronaca Nera
Garlasco e il giallo della nicotina sui capelli di Chiara: il nodo che (forse) non cambierà nulla
Dalla nicotina nei capelli di Chiara Poggi all’alibi di ferro di Sempio, passando per scarpe troppo grandi e impronte insanguinate: il caso Garlasco torna sotto la lente dopo 18 anni. Ma il nuovo indagato sembra sempre più lontano dalla scena del crimine. Intanto l’avvocato della famiglia Poggi avverte: “Servirà smontare l’intera sentenza contro Stasi”.

C’è un dettaglio che emerge dal passato e che, come in ogni giallo che si rispetti, rischia di alimentare dubbi, ma anche di risolversi in un nulla di fatto. Sui capelli di Chiara Poggi, la ragazza uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, venne rilevata nicotina. Ma Chiara non fumava e nemmeno il fidanzato Alberto Stasi, oggi in carcere con una condanna definitiva per omicidio. Allora di chi è quella traccia?
Per l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, la risposta è già scritta nero su bianco da anni. “Basta leggere pagina 121 e 122 della sentenza d’appello che condannò Stasi”, spiega. “È noto che il padre di Chiara fosse un fumatore accanito e che quindi la ragazza fosse una fumatrice passiva”.
Una spiegazione semplice, che rimanda all’ambiente familiare e sembra svuotare di mistero quella che qualcuno ha già battezzato come “pista nicotina”. Ma questa è solo una delle tessere di un puzzle ben più ampio.
Il fascicolo d’indagine oggi si riapre su Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, già archiviato anni fa e ora di nuovo indagato per omicidio. La Procura di Pavia ha rimesso mano al caso, ma secondo molti osservatori – e soprattutto secondo l’avvocato Tizzoni – per accusare Sempio servirebbe non solo inchiodarlo sulla scena del crimine, ma riscrivere da capo l’intera storia giudiziaria di Garlasco.
Ecco perché. Primo: Chiara è morta tra le 9.12 e le 9.36 di quella mattina. Sempio, come testimonia uno scontrino del parcheggio a Vigevano, alle 10.18 era già lontano dalla casa del delitto. Secondo: l’impronta di scarpa rinvenuta sul tappetino del bagno – una taglia 42 – coincide con la misura calzata da Stasi. Sempio porta un 44. Terzo: le impronte sul dispenser del bagno appartengono ad Alberto Stasi, unico identificato in quella scena del crimine.
E ancora: Sempio aveva una bicicletta rossa, mentre i testimoni indicarono una bici nera come quella vista allontanarsi dalla villetta. Anche il Dna sotto le unghie di Chiara non sembra in grado di ribaltare le sentenze passate: la traccia genetica rilevata, infatti, non è databile e Sempio frequentava abitualmente casa Poggi. Potrebbe aver lasciato quel segno anche settimane prima dell’omicidio.
Infine, l’avvocato Tizzoni segnala un dettaglio non secondario: la nomina per potersi costituire parte offesa nel procedimento contro Sempio non gli è ancora stata notificata. “Al contrario – osserva – la Procura sembra aver già interloquito con la difesa di Stasi”.
A complicare ulteriormente il quadro c’è l’ombra di una potenziale revisione per Stasi, mai formalmente avviata. Ma anche questa ipotesi resta sullo sfondo.
Il caso di Garlasco, insomma, sembra riproporsi sotto nuove vesti, ma con vecchie certezze difficili da scardinare. Da qui l’impressione che tutto ruoti attorno a una sola domanda: davvero, a distanza di 18 anni e con una condanna definitiva, esiste un elemento capace di riscrivere la verità giudiziaria sul delitto di Chiara Poggi?
Cronaca Nera
“L’ho vista svanire nel buio”: parla la madre di Saman, condannata all’ergastolo
Per la prima volta in aula, la madre di Saman Abbas racconta fra le lacrime l’ultima sera della figlia: “Le diedi 200 euro e la vidi scomparire nel buio”. Poi accusa i parenti: “Non siamo stati noi genitori”. In aula presenti anche lo zio Danish Hasnain e i due cugini imputati.

“L’ho vista svanire nel buio. A differenza di quel che dice mio figlio Ali, io non ho visto nessuno. Se avessi visto qualcuno o un’aggressione sarei intervenuta e ovviamente non lo avrei consentito perché sono la mamma”. Con voce spezzata dalle lacrime, per la prima volta Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, prende la parola in corte d’Assise d’appello. La donna, condannata in primo grado in contumacia all’ergastolo come il marito Shabbar Abbas, ha raccontato la sua versione sull’ultima notte della figlia, uccisa a Novellara fra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 per essersi opposta a un matrimonio forzato.
Shaheen, arrestata in Pakistan e rientrata in Italia nell’estate del 2024 dopo una lunga latitanza, sostiene di non aver visto nulla quella sera e di aver tentato in ogni modo di fermare la ragazza. “Saman mi ha visto piangere e mi ha chiesto perché. Io le ho detto che non volevo andasse via. Lei continuava a dire che sarebbe andata via e io la supplicavo di non andare…”.
“Non c’è stato nessun litigio, ma solo una discussione per convincerla a restare”, aggiunge la donna. “La nostra unica richiesta era che lei restasse a qualsiasi condizione avesse voluto lei… Eravamo pronti anche a metterlo per iscritto. Ho avuto degli attacchi di panico e sono dovuta uscire, quando mi ha visto così mi ha detto va bene mamma… non vado…”. Poi però la situazione cambia: “Lei aveva in mano il cellulare, poi ha ricominciato a dire che sarebbe andata e noi la imploravamo di restare visto che era già buio”.
Infine il racconto dell’uscita di casa: “Le diedi 200 euro perché almeno avesse qualche soldo in tasca… poi lei è uscita e siamo usciti anche noi. Saman camminava davanti a noi… era distante e l’ho vista svanire nel buio”. Poi, continua Shaheen, “sono entrata e mi sono messa a piangere mentre Ali mi consolava”.
“La notte l’ho passata piangendo”, aggiunge la donna. “Non sono stata io ad uccidere Saman. Sembro viva, ma in realtà mi sento morta”.
A seguire è intervenuto anche Shabbar Abbas, il padre: “Non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia, né avremmo acconsentito che altri lo facessero”. L’uomo ammette però di aver chiesto aiuto ai parenti: “Quella sera ero convinto che ad aspettare Saman ci fosse il suo fidanzato, allora ho chiesto a mio fratello e ai cugini di venire per dargli una lezione, ma non per fargli troppo male”. Poi aggiunge: “Sul tardi sono uscito a controllare, ma non ho visto o sentito nessuno”.
E ancora: “La mattina ho chiesto ai tre cosa avevano fatto la sera prima. Loro mi dissero che non erano neppure venuti. Ho sentito Danish che ha dichiarato che erano presenti lui e gli altri due, quindi penso siano stati loro tre”.
In aula sono presenti anche gli altri imputati: lo zio Danish Hasnain, già condannato in primo grado a 14 anni di reclusione, e i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, assolti in primo grado. Nelle scorse udienze è stato ascoltato anche il fratello della vittima, che all’epoca dei fatti era minorenne. “Chiesi ai miei parenti dove fosse finita Saman, mi risposero che sarebbe andata in paradiso”.
Cronaca Nera
La pista oscura di Garlasco: spunta il satanismo nelle indagini difensive su Stasi
Mentre la difesa puntava su Andrea Sempio come nuovo indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, l’avvocata Bocellari segnalava presunti legami con ambienti oscuri: “Indagini su un terreno pericoloso”.

Quando si pensava che sul caso Garlasco fosse già stato scritto tutto, ecco affiorare un nuovo tassello dalle tinte oscure. È il settembre 2017 quando Giada Bocellari, avvocata di Alberto Stasi – condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi – presenta una denuncia ai carabinieri. Il motivo? Essere stata seguita in auto e aver ricevuto strane “soffiate” su presunti collegamenti con ambienti satanisti.
Una pista ormai abbandonata
La legale racconta ai militari un episodio inquietante: una sera si accorge di un’auto sospetta che la tallona, mentre sta per chiudere e consegnare il fascicolo di indagini difensive che punta il dito su Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi ora nuovamente indagato. Ma non è solo la paura per quell’inseguimento a spingerla dai carabinieri: la Bocellari aggiunge di aver ricevuto messaggi da due donne che le parlano di “un terreno pericoloso dove sono coinvolte persone legate al satanismo”.
Una veggente
Una di queste donne si presenta come una “vegente-sensitiva” e contatta l’avvocata tramite i social. Le racconta di un filone inquietante: dietro la vicenda di Garlasco ci sarebbe “qualcosa di oscuro”, fatto di riti e figure ambigue. Un’altra donna le scrive avvertendola che la vicenda “potrebbe risultare pericolosa” perché legata al satanismo.
Non solo: la Bocellari riferisce anche di essersi imbattuta, durante le indagini difensive, in una serie di suicidi sospetti tra ragazzi della Lomellina e in un omicidio irrisolto, tutti circostanze che – a suo dire – avrebbero coinvolto ambienti frequentati da figure già emerse nel caso Poggi.
Si riaprono le indagini
Dichiarazioni pesanti, che spingono a chiedersi se davvero ci sia dell’altro, mai emerso in oltre quindici anni di indagini. Per la giustizia, la verità ufficiale resta quella che ha portato Stasi alla condanna definitiva nel 2015. Ma le nuove indagini su Sempio lasciano margini alla possibile innocenza dell’ex fidanzato. Ma nei documenti difensivi e nei verbali della Bocellari si intravedono spiragli di una narrazione ancora più cupa, fatta di simbolismi e ipotesi su riti occulti nella provincia pavese.
Una pista suggestiva che, seppur mai confermata dagli inquirenti, torna a gettare un’ombra noir su uno dei casi di cronaca più controversi degli ultimi vent’anni.
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