Storie vere
“Sei sporca, brutta e grassa”: 12enne bullizzata in classe, la scuola condannata a risarcire 60mila euro
Una 12enne di Pescara è stata vittima di bullismo per mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. Gli insulti e le vessazioni subiti l’hanno costretta a cambiare scuola e hanno causato gravi danni psicologici. Dopo otto anni di battaglie legali, la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire la ragazza e la sua famiglia con 60mila euro, criticando duramente l’indolenza della scuola nel proteggere la studentessa.

La storia di una 12enne bullizzata nella sua scuola media di Pescara fa ancora parlare. Offese, insulti e vessazioni quotidiane l’hanno costretta a vivere un incubo durato mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. La bambina, oggi 23enne, ha finalmente ottenuto giustizia: la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire lei e la sua famiglia con 60mila euro per non aver preso provvedimenti adeguati contro il bullo.
Un incubo lungo otto anni
“Tu sei una ragazza sporca, come tua madre, fai cose sporche, sei una p… Sei brutta, grassa, guardati”. Queste le parole che risuonavano nella mente della 12enne ogni giorno. Le offese e le umiliazioni arrivavano dal suo coetaneo, compagno di classe, che la perseguitava continuamente. La scuola, invece di intervenire immediatamente, ha lasciato che la situazione degenerasse.
La lenta risposta della scuola
La scuola ha sospeso il bullo solo per una settimana, una misura ritenuta insufficiente dai giudici. Le testimonianze dei compagni di classe hanno evidenziato l’indifferenza del corpo docente e la mancanza di interventi adeguati. “I professori sapevano che la mia amica era bullizzata e non hanno mai rimproverato quel ragazzo,” ha dichiarato una compagna di classe. Questa indifferenza ha portato la bambina a perdere 20 chili, a cambiare scuola e a perdere l’anno scolastico.
La sentenza e le critiche alla scuola
La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la condanna della scuola, sottolineando l’obbligo di vigilanza e protezione degli studenti. “Il compito della scuola era quello di tutelare la minore, adempiendo all’obbligo di controllo e vigilanza prima che si verificasse la situazione di pericolo e non intervenire in un momento successivo,” hanno scritto i giudici nella sentenza.
Un lungo cammino verso la giustizia
Otto anni di udienze e sofferenze ripercorse in tribunale hanno finalmente portato giustizia alla ragazza e alla sua famiglia. Il risarcimento di 60mila euro è solo un parziale sollievo per il dolore subito, ma rappresenta un importante riconoscimento della responsabilità della scuola. La giovane, ora 23enne, ha ripreso in mano la sua vita grazie a cure e sostegno psicologico, ma le ferite lasciate dal bullismo e dall’indifferenza della scuola rimarranno per sempre.
Una lezione amara
Questa vicenda evidenzia la necessità di un intervento immediato e deciso contro il bullismo nelle scuole. Le istituzioni educative hanno il dovere di proteggere i loro studenti e di creare un ambiente sicuro e supportivo. Speriamo che questa sentenza serva da monito affinché nessun altro bambino debba soffrire come la giovane di Pescara.
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Storie vere
Una coppia alla ricerca della felicità: cambia vita su una piccola isola del Tamigi
Dalla metropoli alla natura: la scelta coraggiosa di una giovane coppia che lascia Londra a causa del caro affitto e va a vivere su isola del Tamigi.

Sacha Pritchard, 25 anni, e il suo compagno Matt King, 28 anni, hanno deciso di abbandonare la frenesia e i costi proibitivi della vita a Londra per trasferirsi su una piccola isola nascosta nel fiume Tamigi. Dopo anni passati a pagare affitti esorbitanti per minuscoli appartamenti condivisi con altre persone, questa giovane coppia ha trovato una soluzione decisamente fuori dagli schemi.
Sul Tamigi una vita diversa ma appagante
La loro nuova casa è un bungalow spazioso con una splendida vista sul fiume. Un affitto più ragionevole rispetto agli standard cittadini ha permesso loro di risparmiare l’equivalente di oltre 20.000 euro all’anno rispetto a quanto spendevano nei sette anni precedenti in città. Il costo include anche il trasporto in barca, dato che l’isola non è collegata alla terraferma da alcun ponte. La dipendenza dalla barchetta a motore rappresenta sia una peculiarità affascinante che una sfida logistica. Sacha usa questo mezzo per raggiungere il lavoro, dove presta servizio quattro giorni alla settimana. Tuttavia, quando il motore si è guastato, la coppia è rimasta bloccata sull’isola finché il problema non è stato risolto.
Una comunità unita
Sull’isola sul Tamigi vivono circa venti persone, un numero ridotto che ha favorito la nascita di una comunità stretta e solidale. Condividere questo particolare stile di vita ha permesso a Sacha e Matt di sentirsi parte di un gruppo unico, sebbene la vita sociale possa essere limitata. “Se uno di noi ha bisogno di andare sulla terraferma, l’altro deve accompagnarlo,” raccontano. Questo aspetto logistico richiede coordinazione e pazienza, ma per loro ne vale la pena.
Una scelta di vita che ripaga
Nonostante le sfide, Sacha ha dichiarato alla BBC Radio London: “Posso dire onestamente che è una delle cose migliori che abbiamo mai fatto, finanziariamente e mentalmente. Solo per essere nella natura ogni singolo giorno, ci godiamo ogni secondo“. La coppia ha mostrato la loro vita quotidiana su TikTok, dove raccontano come questa scelta sia stata liberatoria. La possibilità di vivere circondati dalla natura, lontani dal caos urbano, ha avuto un impatto positivo sulla loro salute mentale e sul loro rapporto.
Storie vere
Il bambino costretto a vivere in una bolla: ha toccato il mondo senza mai toccarlo. L’incredibile storia di David Vetter
La ricerca scientifica ha fatto molti progressi nella cura dell’ADA-SCID, e oggi esistono terapie geniche innovative che offrono una speranza di guarigione a questi bambini.

“Non ha mai toccato il mondo, ma il mondo è stato toccato da lui.” Questa è l’epigrafe di David Phillip Vetter, noto per aver vissuto tutta la sua breve vita all’interno di una bolla di plastica a causa di una grave malattia. Nato nel settembre del 1971, David è morto a soli 12 anni nell’ottobre del 1984. Soffriva di ADA-SCID (Severe Combined Immunodeficiency Disease – Sindrome di Immunodeficienza Combinata grave da deficit di Adenosin-deaminasi), una malattia genetica che annulla le difese immunitarie. Per questo motivo, David è stato costretto a vivere in una bolla di plastica per evitare che virus e batteri potessero causargli infezioni mortali.
Un caso mediatico che ispirò documentari e film
La pratica della bolla di plastica era l’unico modo per far sopravvivere i bambini affetti da questa malattia negli anni ’70. David uscì dalla bolla solo per un trapianto di midollo osseo, nella speranza di salvarlo. Il donatore fu sua sorella, ma purtroppo l’intervento non ebbe successo . Morì poche settimane dopo a causa di gravi infezioni. Il bambino divenne un caso mediatico, il primo “bambino-bolla” della storia. Il New York Times gli dedicò un documentario intitolato “The Boy In The Bubble – David Vetter“. La sua storia ha ispirato anche il film “The Boy in the Plastic Bubble” (1976), con John Travolta.
Vetter non era l’unico bambino a vivere in quelle condizioni
Nel corso degli anni, molti altri bambini hanno subito la stessa sorte. La storia di David Vetter ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia e ha spinto la ricerca scientifica a trovare nuove cure. A partire dagli anni ’90, sono stati fatti molti progressi nella terapia genica per la SCID. In particolare, la terapia sviluppata dall’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano, chiamata Strimvelis, ha rappresentato una svolta nella cura di questa malattia. Strimvelis è la prima terapia genica a base di cellule staminali approvata in Europa per una malattia genetica rara. Ha offerto una speranza di futuro a molti pazienti affetti da ADA-SCID che non avevano un donatore compatibile di midollo osseo.
Storie vere
Minacciato dalla camorra e protetto dai servizi segreti? Cosa c’è di vero nel ritorno di Riccardo Flammini rintracciato a Parigi. Una storia avvolta nel mistero
L’attore romano era scomparso dal 2022. Contattata la redazione di “Chi l’ha visto?”, racconta una fuga misteriosa tra presunte minacce e protezione dei servizi segreti.

Dopo tre anni di silenzio, l’attore Riccardo Flammini è stato rintracciato a Parigi. L’annuncio è arrivato dalla trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto?“, che ha incontrato l’uomo nella capitale francese. Là dove era stato avvistato l’ultima volta nel 2022. A contattare la redazione è stato lo stesso Flammini, 45enne attore romano, attraverso una serie di email. L’inviato del programma si è recato sul posto per incontrarlo e raccogliere il suo racconto. L’uomo ha dichiarato di essere fuggito «con l’aiuto dei servizi segreti». E il motivo? «Minacce di morte ricevute dalla camorra», affermazioni che al momento necessitano di ulteriori verifiche.
L’incontro con la sorella Valentina
Durante l’incontro, Flammini ha spiegato di aver perso i documenti e di essere stato messo in contatto con la sorella Valentina, che in questi anni non ha mai smesso di cercarlo. La redazione ha mostrato un messaggio inviato da Valentina a Riccardo. «Fratellino mio, buongiorno, mi riconosci? Sono io, sono nella tua cameretta e ci sono le tue cose. Sono qui perché ti sto aspettando. Aspetto da cinque anni che ritorni. Sono rimasta da sola, perché la mamma un mese fa è morta e papà vive in Spagna». Flammini ha risposto con parole cariche di incertezza. «Solamente quando sarà fatto tutto il percorso di protezione potrò tornare a Roma. Tornerò solo con la protezione».
Avviate le procedure per il rientro di Riccardo Flammini
Dopo l’incontro, Riccardo Flammini è stato accompagnato presso l’Ambasciata italiana e successivamente al Consolato per avviare le procedure per rifare i documenti smarriti. Come precisato da Federica Sciarelli, la vicenda presenta ancora molti punti oscuri e necessita di ulteriori verifiche. Valentina, presente in studio durante la puntata del 5 febbraio, ha espresso il suo scetticismo. «Voglio sperare che non sia reale, me lo auguro insomma». Nonostante le difficoltà, ha voluto ringraziare la redazione. «Vi ringrazio di cuore per quello che avete fatto per Riccardo. Avete accolto la sua richiesta di aiuto e siete stati gli unici».
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