Cronaca
Il rapper iraniano Toomaj Salehi condannato a morte per la sua musica

Toomaj Salehi, noto rapper iraniano e voce dissidente, è stato recentemente condannato a morte per aver pubblicato musica critica contro il governo e per il suo coinvolgimento nelle proteste del 2022 in Iran. L’avvocato di Salehi, Amir Raesian, ha confermato questa sentenza tramite un post su Twitter, annunciando l’ordine di esecuzione emesso nei confronti del suo cliente. Raesian ha dichiarato la sua intenzione di presentare ricorso in appello, prospettando la possibilità di una riduzione della pena.
Salehi è stato arrestato nell’ottobre 2022
Secondo quanto riportato dal New York Times, Salehi è stato arrestato nell’ottobre 2022 durante le rivolte seguite alla tragica morte di Mahsa Amini, una giovane donna di 22 anni arrestata dalla polizia morale iraniana, deceduta successivamente durante il periodo di detenzione.
Diffusione della corruzione sulla terra
Le autorità lo hanno accusato di “diffusione della corruzione sulla terra”, un reato punibile con la pena di morte, a causa della sua produzione musicale critica verso il governo e del suo coinvolgimento attivo nelle proteste, che ha pubblicizzato attraverso i suoi canali sui social media.
Emerse in seguito l’accusa che Salehi fosse stato sottoposto a isolamento e torture dopo l’arresto, con segnalazioni delle Nazioni Unite che indicavano lesioni al naso e alle dita. Inoltre, si temeva che i suoi processi giudiziari si fossero svolti a porte chiuse, senza la presenza del suo avvocato.
Non ha rispettato il divieto di cantare
Nel luglio 2023, un tribunale di Isfahan lo condannò a oltre sei anni di prigione, con l’ulteriore restrizione di due anni privi della possibilità di fare musica o cantare, secondo quanto documentato dal Dipartimento di Stato americano. Tuttavia, a novembre dello stesso anno, Salehi fu rilasciato su cauzione, in seguito alla scoperta di irregolarità nella sentenza originale da parte della Corte Suprema iraniana.
Fu nuovamente arrestato solo due settimane dopo. L’avvocato di Salehi ha criticato la condanna a morte emessa dal tribunale di Isfahan, sostenendo che questa abbia ignorato la sentenza precedente della Corte Suprema, evidenziando conflitti legali senza precedenti. La condanna ha attirato vivaci critiche da parte di governi e organizzazioni per i diritti umani, tra cui l’ufficio dell’inviato americano in Iran, che ha condannato fermamente la sentenza.
Un attacco oltraggioso ai diritti umani
La direttrice del progetto Artists at Risk Connection di PEN America, ha definito la condanna di Salehi come “un attacco oltraggioso ai diritti umani e alla libertà di espressione”, sottolineando l’importanza di proteggere gli artisti che esprimono dissenso contro regimi autoritari. Questa notizia ha anche suscitato reazioni nella comunità hip-hop americana, con figure come Meek Mill che hanno sollevato la questione della libertà di Salehi sui social media.
Inoltre, Elica Le Bon, avvocato e attivista iraniano-americana, ha sottolineato l’importanza di diffondere la storia di Salehi attraverso campagne online come “di’ i loro nomi per salvare le loro vite”, utilizzando hashtag come #FreeToomaj o #ToomajSalehi. Queste iniziative mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sui prigionieri politici in Iran e a esercitare pressione sul regime per la loro liberazione. Le Bon ha concluso affermando che ogni contributo conta e che vale la pena impegnarsi per la giustizia e la libertà di Salehi e di altri come lui.
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Politica
Onorevoli morosi: i parlamentari che non pagano le quote e fanno piangere le casse dei partiti (ma non mollano la poltrona)
Sono eletti, ma non pagano. Siedono in Aula, ma latitano alla cassa. In tutti i partiti abbondano i morosi delle quote, quelli che dovrebbero versare contributi e invece fanno gli gnorri. Mentre i tesorieri impazziscono e i bilanci piangono, spunta la minaccia dell’incandidabilità. Ma qualcuno pensa davvero che funzionerà?

Pagano le bollette, forse. Versano il mutuo, magari. Ma quando si tratta di pagare le quote al partito, gli onorevoli si eclissano come fossero a un vertice Nato… ma senza invito. Benvenuti nel meraviglioso mondo degli “onorevoli morosi”: categoria trasversale, bipartisan, e sorprendentemente creativa nel trovare scuse per evitare di saldare i conti con il proprio partito.
Il caso più emblematico è quello del Movimento 5 Stelle, che ha scoperto di avere un buco di 2,8 milioni di euro in quote non versate da parlamentari e consiglieri regionali. E per non farsi mancare nulla, ci sono altri 1,4 milioni mai restituiti in indennità di fine mandato. A quel punto il tesoriere Claudio Cominardi ha detto basta: “O paghi o resti fuori dai giochi”. Tradotto: niente più candidature né incarichi per chi fa lo gnorri alla cassa.
Il risultato? Il partito ha chiuso comunque il bilancio 2024 con un avanzo di oltre due milioni. Magia? No, solo una buona gestione e qualche recupero forzato. Altro che “uno vale uno”: qui vale chi versa.
Ma non pensiate che i grillini siano un’eccezione. Il vizietto del “non pago, tanto chi se ne accorge” colpisce un po’ ovunque. Nel Partito democratico, il buco da morosità è di 441 mila euro, anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso grazie ad azioni legali. Insomma: se non vuoi versare spontaneamente, ti citano. Con affetto, si intende. E nonostante tutto, al Nazareno si brinda: avanzo da 650 mila euro, anche grazie al 2×1000 (oltre 10 milioni). Unico problema? L’affitto: 502 mila euro per la sede. Perché sì, la politica costa. Soprattutto se vuoi farla con il parquet.
Il partito con il miglior comportamento? Sinistra italiana, che vede lievitare i contributi da 204 a 281 mila euro in un anno. Unico caso virtuoso. Forse perché, senza grandi mecenati, lì le quote sono come il pane: o le hai, o resti a digiuno.
E il centrodestra? Beh… Fratelli d’Italia, che lascia i versamenti alla volontà degli eletti, ha perso 1,2 milioni. La Lega ne ha lasciati sul campo 700 mila. Risultato: entrambi in rosso, e con i bilanci da rianimare. Tanto che anche loro stanno meditando il modello 5 Stelle: “paghi o fuori”.
In casa Forza Italia, invece, le cose vanno (relativamente) meglio. Il buco c’è – 307 mila euro di disavanzo – ma a tappare le falle ci hanno pensato 128 imprenditori con un cuore grande come una donazione: oltre 1,5 milioni versati. Altro che fundraising: questo è il Superenalotto.
E intanto, mentre i tesorieri fanno i conti con Excel e tachipirina, i parlamentari si dividono in tre categorie:
– quelli che pagano senza fiatare,
– quelli che rimandano “alla prossima settimana” da sei mesi,
– e quelli che proprio spariscono, rispondendo alle PEC con gif di gattini.
L’idea dell’incandidabilità per chi non versa? Bellissima. Ma un po’ come il gelato in spiaggia: parte bene, poi si squaglia.
Perché diciamolo: in politica tutti promettono, ma alla cassa arrivano in pochi. Soprattutto se devono mettere mano al portafogli e non al microfono.
Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.

Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
Storie vere
Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa
Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.
A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.
La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.
Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.
Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.
«Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.
Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.
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