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Cronaca

“Mi hanno distrutto, ma ero innocente”: il caso Betrò e il lato oscuro delle inchieste facili

Indagato ingiustamente, esposto mediaticamente, colpito nella reputazione e nella carriera: la storia di Betrò è quella di molti italiani innocenti risucchiati in procedimenti giudiziari nati da suggestioni, intercettazioni decontestualizzate e troppa leggerezza. Ora valuta azioni legali contro chi lo ha diffamato.

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    Per sei lunghi mesi ha vissuto con l’accusa infamante di far parte di un’associazione criminale legata alla ‘ndrangheta, con il compito di riciclare denaro attraverso il commercio degli idrocarburi. Andrea Betrò, 35 anni, commercialista stimato e noto nel suo ambiente, è stato uno degli indagati nell’ambito della maxi-inchiesta denominata “Operazione Assedio”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma.

    Il suo nome è rimbalzato sui giornali, nei titoli delle trasmissioni televisive, nei post e nei commenti social, come fosse già una sentenza. Ma le accuse erano basate sul nulla: qualche frase intercettata da terzi, che millantavano contatti e protezioni mai esistite. Nessun fatto concreto, nessun riscontro oggettivo. E infatti, al termine dell’udienza preliminare – durata oltre sei mesi – il GUP De Robbio ha pronunciato nei suoi confronti una sentenza di non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”.

    Un verdetto netto, che restituisce a Betrò la libertà e la dignità. Ma che non cancella quanto accaduto: la gogna mediatica, la diffamazione, i danni professionali. E il sospetto, l’ombra lunga che resta anche dopo l’assoluzione.

    Lo abbiamo intervistato all’indomani del verdetto.

    Dottor Betrò, dopo mesi d’angoscia, è arrivato il verdetto. Come si sente?

    Mi sento liberato, ma anche provato. Questa sentenza afferma la mia totale estraneità, ma non cancella quello che ho vissuto. Ho passato quasi due anni nel mirino, trattato come colpevole senza alcuna prova. La verità ha vinto, ma resta l’amarezza per tutto ciò che è stato distrutto lungo il cammino.

    Com’è possibile finire indagati per un’accusa così grave senza aver fatto nulla?

    È possibile quando, invece di cercare la verità, si costruiscono narrazioni. Il mio nome è comparso perché altri, durante intercettazioni che non mi riguardavano, millantavano legami con me. Bastava verificare, leggere con attenzione. Invece no: è bastato un nome, una voce, e da lì è partito tutto.

    Le accuse parlavano di riciclaggio con finalità mafiose. Da dove nasceva tutto questo?

    Nasceva da chiacchiere altrui. Alcuni soggetti sostenevano di poter contare su di me per ottenere favori o coperture. Fandonie. Mai avuto alcun ruolo o collegamento con quei fatti. Eppure, in un sistema che rincorre il colpevole prima ancora di verificarlo, sono bastate quelle chiacchiere per finire travolto.

    Crede che l’essere calabrese abbia giocato un ruolo?

    Credo che, purtroppo, i pregiudizi esistano ancora. In certi ambienti basta la provenienza geografica per diventare sospetti. È una scorciatoia mentale che va denunciata, perché danneggia la reputazione di tanti professionisti onesti.

    Quanto ha inciso l’esposizione mediatica?

    È stata devastante. Alcune trasmissioni hanno costruito un racconto falso, tagliando e cucendo interviste a proprio uso e consumo. Ho parlato per oltre un’ora con un giornalista, mostrando tutti i documenti. Ma quello che è andato in onda era un’altra storia. Più vendibile, ma falsa. E intanto la mia reputazione veniva infangata.

    Sta valutando azioni legali?

    Sì. Mai querelato un giornalista, e credo nella libertà di stampa. Ma c’è una linea tra informazione e diffamazione, e quando viene superata è giusto reagire. Stiamo valutando azioni in sede civile contro chi ha diffuso falsità, anche per ottenere un risarcimento simbolico, ma soprattutto per affermare un principio: non si può calpestare la dignità delle persone.

    Molti, come lei, sono vittime di “inchieste facili”. Ma spesso restano in silenzio.

    Io ho avuto la fortuna di potermi difendere. Ma penso a chi non può permetterselo. A chi viene travolto senza avere gli strumenti per reagire. Per questo racconto la mia storia: perché chi ha subito un’ingiustizia non deve sentirsi solo. E perché certe prassi, certe superficialità, devono finire.

    Cosa farà ora?

    Ricostruirò. Continuerò a lavorare, con l’impegno e la correttezza di sempre. E mi batterò, anche legalmente, contro chi ha diffuso falsità su di me. Non per vendetta, ma per rispetto della verità.

    Un ultimo pensiero?

    Alla mia famiglia, alla mia compagna, all’avvocato Michele Andreano e a tutto il suo studio. Mi hanno sostenuto e difeso con la dedizione di chi difende se stesso. A loro va la mia gratitudine più profonda.

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      Mondo

      Pete Hegseth, il generale del botox: “Vuole un esercito a sua immagine”. E mentre predica disciplina, si liscia le rughe

      Il 45enne ex volto di Fox News, noto per le sue crociate contro “soldati grassi e trascurati”, avrebbe ceduto al bisturi soft per rifinire la sua immagine. “È ossessionato dal corpo e dall’idea di forza”, racconta una fonte interna. Intanto il Dipartimento della Difesa attacca la stampa ma non smentisce.

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        L’unica guerra vinta, finora, sembra quella contro le rughe. Pete Hegseth, 45 anni, ex anchorman di Fox News e oggi capo del Pentagono nell’amministrazione Trump, è finito nel mirino del Daily Mail per un presunto trattamento estetico a base di botox. Le immagini pubblicate dal quotidiano britannico mostrano il segretario della Difesa prima e dopo un ciclo di iniezioni che, dicono i bene informati, risalirebbe a circa un mese fa.

        Niente conferme ufficiali dal Dipartimento della Difesa, che ha definito “spazzatura” l’articolo, ma le foto parlano chiaro: pelle più liscia, fronte immobile, linee d’espressione sparite. E così, mentre il mondo osservava le crisi in Ucraina e Medio Oriente, il guerriero dell’America si sarebbe concesso un blitz di vanità.

        Hegseth, veterano dell’Iraq e volto simbolo della destra trumpiana, aveva da poco invocato “standard fisici più duri” per le forze armate, criticando “i soldati grassi, i tatuaggi e la cultura del disimpegno”. Un approccio militare e morale che sembra cozzare con il suo nuovo volto di cera.

        Una fonte interna al Pentagono, citata dal Daily Mail, racconta un retroscena gustoso: “È tutta una questione di ego per Pete. È sempre stato pieno di sé, ma ultimamente il suo ego è alle stelle. È ossessionato dal suo corpo e ora vuole creare un esercito a sua immagine”.

        Hegseth non è nuovo alle polemiche. Ex opinionista tv e autore di bestseller patriottici, ha costruito la propria carriera sulla retorica dell’uomo forte, il patriota puro, l’americano che non cede al politically correct. Ora, però, l’eroe del fitness patriottico deve fronteggiare una nuova accusa: quella di essersi arreso alla più borghese delle debolezze, il bisturi.

        Per qualcuno, la trasformazione estetica è solo un dettaglio. Per altri, è la metafora perfetta del nuovo Pentagono: duro con gli altri, morbido con se stesso.

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          Storie vere

          Dal chiostro all’altare (nuziale): l’ex suora Lais Dognini sposa un ex prete. “Il nostro primo appuntamento? Messa, cena e cinema”

          Lais Dognini, ex suora carmelitana, e Jackson, ex seminarista, si sono conosciuti quando lei soffriva di depressione. “Mi scrisse che avrebbe pregato per me: da quel giorno non abbiamo più smesso di sentirci.” Oggi sono sposati e raccontano la loro storia sui social.

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            In Brasile, la loro storia ha fatto il giro dei social come una parabola d’amore e redenzione. Lei, Lais Dognini, era una giovane suora carmelitana; lui, Jackson, un seminarista in procinto di ricevere l’ordinazione. Oggi sono marito e moglie, e la loro unione ha conquistato migliaia di follower.

            Lais aveva trascorso due anni in convento, dedicata alla preghiera e alla vita comunitaria, ma un episodio di forte depressione l’aveva costretta a lasciare la vita religiosa. “Ero smarrita e non sapevo più come andare avanti,” ha raccontato. In quel periodo difficile ricevette un messaggio da Jackson: “Mi offrì la sua preghiera. Non ci conoscevamo, ma le sue parole mi fecero bene.”

            Quel messaggio fu l’inizio di qualcosa di inatteso. I due iniziarono a scriversi ogni giorno, scoprendo affinità profonde e un legame che cresceva con naturalezza. “Non ci cercavamo, ma ci siamo trovati,” dice Lais. Col tempo, anche Jackson decise di lasciare il seminario. “Avevo compreso che la mia vocazione era un’altra: vivere la fede in una famiglia, non dietro l’altare.”

            Dopo un periodo di fidanzamento, la coppia si è sposata. Il video delle nozze è diventato virale, rilanciato da testate e tabloid di mezzo mondo. Ma i due hanno voluto chiarire che la loro è una storia di fede prima ancora che di passione. “Il nostro primo appuntamento – ha raccontato Lais – è stato andare insieme a messa, poi a cena e infine al cinema. Amiamo essere cattolici e oggi serviamo Dio attraverso il matrimonio.”

            Oggi Lais è un’influencer molto seguita: parla di spiritualità, equilibrio e amore autentico. “Non abbiamo rinnegato la fede,” ha detto, “l’abbiamo solo riscoperta in una forma diversa.” Una storia che, tra ironie e applausi, ricorda che anche nei misteri dell’amore terreno può nascondersi una scintilla divina.

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              Cronaca

              Asia Vitale, il clamoroso dietrofront: “Lo stupro di gruppo? Ero consenziente”. L’ex vittima ora denunciata per minacce con un coltello

              Il caso che sconvolse l’Italia torna a far discutere. In un audio privato la 19enne, ora trasferita in Brianza e attiva su OnlyFans, parla di “rapporto consenziente”. Intanto è stata denunciata dopo un episodio in cui avrebbe inseguito l’ex con un coltello da 34 centimetri. L’avvocata difensore si è ritirata.

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                Il caso di Asia Vitale, la giovane che nel 2023 denunciò uno stupro di gruppo a Palermo, torna a scuotere l’opinione pubblica. In un fuorionda diffuso da un podcast locale, la 19enne – oggi trasferita in Brianza – avrebbe dichiarato che quella notte nel cantiere abbandonato “fu consenziente”. Parole che, se confermate, potrebbero avere conseguenze giudiziarie pesantissime.

                Il nuovo audio, registrato durante una conversazione privata, mostra un ribaltamento totale della sua versione. “Non mi hanno costretta, sapevo cosa stava succedendo”, avrebbe detto la ragazza. Una frase che i legali dei sette condannati – sei dei quali già con sentenze definitive – sarebbero pronti a utilizzare per chiedere la revisione del processo.

                Ma la vicenda, già intricata, si è ulteriormente complicata con un episodio recente avvenuto a Muggiò, in Brianza, dove Asia vive da alcuni mesi. Un passante ha chiamato i carabinieri dopo averla vista correre in strada con un coltello di oltre trenta centimetri, mentre inseguiva un ragazzo in bicicletta, il suo ex fidanzato. I militari, intervenuti subito, l’hanno trovata poco dopo in un parco pubblico, accanto al giovane, con l’arma nascosta nello zaino.

                La ragazza è stata denunciata per porto abusivo di arma e minacce aggravate. Secondo quanto emerso, l’ex coppia aveva litigato furiosamente pochi giorni prima per la pubblicazione di un video a contenuto esplicito su una piattaforma privata.

                Asia, che nel frattempo ha aperto un profilo su OnlyFans, è apparsa in difficoltà anche dal punto di vista psicologico. La sua avvocata, Carla Garofalo, ha annunciato la rinuncia al mandato, lasciando la giovane senza rappresentanza legale nei procedimenti in corso per stupro, revenge porn e un’altra violenza ancora pendente.

                Una storia che intreccia fragilità, spettacolarizzazione e giustizia. Un caso che sembrava chiuso e che ora, con un solo audio, rischia di riaprirsi, riscrivendo ancora una volta i confini tra vittima, verità e bugia.

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