Mondo
Biden annuncia il ritiro dalla corsa alla Casa Bianca
Joe Biden, sotto pressione da parte dei leader del partito democratico e dell’elettorato, ha deciso di non candidarsi per un secondo mandato. Kamala Harris potrebbe sfidare Donald Trump, ma l’ufficialità arriverà a breve.

Joe Biden ha deciso di ritirarsi ufficialmente dalla corsa alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre. Dopo settimane di pressioni dai leader del partito democratico e da una parte dell’elettorato, il presidente in carica ha scelto di fare un passo indietro e rinunciare alla candidatura. La vicepresidente Kamala Harris è indicata come possibile sfidante del candidato repubblicano Donald Trump, ma la conferma ufficiale arriverà solo nelle prossime ore.
In una lettera pubblicata sui social network, Biden ha scritto:
“Negli ultimi tre anni e mezzo abbiamo fatto grandi progressi come Nazione. Oggi l’America ha l’economia più forte del mondo. Abbiamo fatto investimenti storici nella ricostruzione della nostra nazione, nella riduzione dei costi dei farmaci da prescrizione per gli anziani e nell’espansione dell’assistenza sanitaria a prezzi accessibili a un numero record di americani. Abbiamo fornito cure essenziali a un milione di veterani esposti a sostanze tossiche. Abbiamo approvato la prima legge sulla sicurezza delle armi in 30 anni, nominato la prima donna afroamericana alla Corte Suprema e approvato la legislazione sul clima più significativa nella storia del mondo. L’America non è mai stata in una posizione di leadership migliore di oggi.
So che niente di tutto questo avrebbe potuto essere fatto senza di voi, popolo americano. Insieme, abbiamo superato una pandemia che arriva ogni secolo e la peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Abbiamo protetto e preservato la nostra democrazia. E abbiamo rivitalizzato e rafforzato le nostre alleanze in tutto il mondo.
È stato il più grande onore della mia vita servire come vostro Presidente. E anche se era mia intenzione tentare la rielezione, credo che sia nell’interesse del mio partito e del Paese che io mi dimetta e mi concentri esclusivamente sull’adempimento dei miei doveri di Presidente per il resto del mio mandato.
Parlerò alla Nazione più avanti questa settimana in modo più dettagliato della mia decisione. Per ora, permettetemi di esprimere la mia più profonda gratitudine a tutti coloro che hanno lavorato così duramente per vedermi rieletto. Voglio ringraziare la vicepresidente Kamala Harms per essere stata un partner straordinario in tutto questo lavoro. E permettetemi di esprimere il mio sincero apprezzamento al popolo americano per la fede e la fiducia che avete riposto in me. Oggi credo quello che ho sempre creduto: non c’è niente che l’America non possa fare quando lo facciamo insieme. Dobbiamo solo ricordare che siamo gli Stati Uniti d’America.”
Una decisione nell’aria
La decisione di Biden era nell’aria da tempo. Dopo la debacle nel dibattito in TV con l’ex tycoon e le continue gaffe che ne mostravano la confusione – come quando ha chiamato Zelensky “Putin” e Kamala Harris “Trump” – oltre ai problemi di salute, tra cui la recente positività al Covid, sono diventati sempre più numerosi i leader democratici che gli hanno chiesto di fare un passo indietro. Tra questi, anche l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, Barack Obama e personaggi illustri come George Clooney.
Le pressioni interne al partito
All’inizio, Biden ha provato a rassicurare il suo partito, dichiarando di essere il miglior candidato per sconfiggere Donald Trump, già battuto nel 2020. Tuttavia, alla fine, ha ceduto alle pressioni e ha deciso di ritirarsi.
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Mondo
L’uomo Del Monte ha detto stop: bancarotta storica per l’icona americana delle conserve
Fondata nel 1886, la Del Monte era sinonimo di qualità e praticità. Ma frutta in scatola, verdure conservate e succhi oggi non bastano più. Il debito di 1,2 miliardi e la perdita d’identità mettono fine a un’epoca.

L’uomo Del Monte ha detto stop. Stavolta per davvero. Dopo 139 anni, la leggendaria azienda alimentare statunitense Del Monte Foods ha dichiarato bancarotta. Il 1° luglio 2025, la società ha fatto ricorso al Chapter 11, lo strumento legale che permette la ristrutturazione del debito sotto il controllo del tribunale, nel tentativo di salvare ciò che resta di un impero ormai in frantumi.
Una crisi annunciata. Le vendite crollano, il debito supera 1,2 miliardi di dollari, e la storica azienda — resa celebre da uno spot iconico degli anni ’80 con un distinto signore in bianco che assaggiava frutta matura — non riesce più a reggere il confronto con un mercato profondamente mutato.
Oggi i consumatori chiedono freschezza, sostenibilità, tracciabilità. La frutta in scatola è passata da simbolo di progresso a prodotto percepito come vecchio e superato. E anche le private label, con prezzi più bassi e qualità crescente, hanno rosicchiato quote di mercato al colosso americano.
Del Monte ha provato a rispondere. Packaging sostenibili, linee “healthy”, porzioni monodose. Ma la trasformazione è arrivata tardi e con scarso impatto. Nemmeno il prestito d’emergenza da 900 milioni di dollari, concesso da alcuni creditori, sembra sufficiente a evitare il collasso.
Fondata in California nel 1886, la società aveva resistito a guerre, crisi e rivoluzioni industriali. Ma non ha superato la rivoluzione culturale del carrello della spesa.
Niente chiusura immediata, ma la Del Monte che conoscevamo non esiste più. Quel sì sussurrato dall’uomo in panama ora è diventato un no secco, definitivo. E per una volta, nessuno può dargli torto.
Mondo
Elon Musk lancia l’idea dell’“America Party”: così può fregare Trump e aiutare i Democratici
Il sogno di Elon Musk non è solo spaziale: ora punta alla politica. E nel giorno del 4 luglio, la festa dell’Indipendenza americana, ha pubblicato su X un sondaggio destinato a far discutere: “Dovremmo creare il partito dell’America?” La proposta è quella di un terzo soggetto politico, indipendente, capace di spaccare il sistema bipartitico USA e diventare ago della bilancia alle prossime elezioni. Una provocazione? Forse. Ma anche una strategia. E Grok, la sua intelligenza artificiale, ha già fatto i conti

Il post di Musk ha totalizzato in poche ore oltre 30 milioni di visualizzazioni e più di 45 mila commenti. Ma non è una sparata a caso: risponde infatti a chi gli chiedeva che impatto potrebbe avere un “America Party” alle elezioni di medio termine del 2026 o, peggio per Trump, alle presidenziali del 2028.
Musk ha una sua teoria molto chiara: non serve conquistare tutto, basta colpire bene. «Concentrarsi su 2 o 3 seggi chiave al Senato e 8-10 collegi alla Camera – ha spiegato – sarebbe sufficiente per diventare decisivi sulle leggi più controverse. Con i margini attuali, ogni voto conta».
Grok analizza: “Basta il 5% per cambiare tutto”
A elaborare la visione è Grok, il sistema IA integrato su X e creato proprio da Musk. Secondo Grok, un partito alternativo potrebbe ottenere tra il 5 e il 10% in diversi Stati incerti come Pennsylvania, Georgia, Wisconsin, Nevada, Michigan e Arizona. Abbastanza per spezzare l’asse repubblicano e, paradossalmente, favorire i Democratici. Esattamente come accadde con Ross Perot nel 1992, che tolse voti a Bush padre e spianò la strada a Clinton.
Nel suo report, Grok sottolinea: “Il successo dipenderà dall’accesso alle schede elettorali e dai finanziamenti”. E sui soldi Musk non ha problemi: con il suo patrimonio personale può autofinanziare una campagna nazionale e, soprattutto, controllare direttamente la piattaforma di comunicazione più efficace: X.
Il vero rischio per Trump
La mossa è di quelle che potrebbero tagliare le gambe al tycoon. Perché anche un 7-8% di voti in meno in alcuni Stati chiave potrebbe fare la differenza nel Collegio Elettorale. E se Trump si ritrovasse beffato da Musk, non sarebbe solo uno smacco politico, ma personale. La guerra dei miliardari, insomma, è appena cominciata. E questa volta non si combatte su Marte, ma nei seggi americani.
Mondo
Putin resuscita Intervision per sfidare l’Occidente e annuncia: “Gli Stati Uniti ci saranno sul palco”

Mancano 78 giorni. Un maxi-schermo in piazza del Maneggio, davanti al Cremlino, scandisce il conto alla rovescia verso un evento che sembra uscito dagli archivi della Guerra fredda: il ritorno di Intervision, la versione sovietica dell’Eurovision. E la notizia che scuote la diplomazia internazionale è una sola: tra i partecipanti ci saranno anche gli Stati Uniti.
Sì, proprio loro. Lo conferma la Tass, agenzia stampa russa: Washington invierà una delegazione al festival musicale voluto da Vladimir Putin per riaffermare i “valori tradizionali” contro le derive “globaliste” di Eurovision. La kermesse andrà in scena a Mosca il 20 settembre, con delegazioni di Paesi “amici” come Cina, Iran, Venezuela, Cuba, Bielorussia, Qatar e Serbia. E ora anche gli Usa.
Intervision, o Intervidenie in russo, è molto più di un concorso musicale. È una dichiarazione di intenti. Dopo l’esclusione della Russia da Eurovision nel 2022 – a causa della guerra in Ucraina – il Cremlino ha scelto di creare una propria vetrina musicale, completamente scollegata dai valori occidentali. “Un festival per famiglie, patriottico e sovrano”, ha detto il ministro della Cultura russo. E lo sarà: a rappresentare Mosca ci sarà Shaman, idolo pop ultranazionalista, famoso per il brano “Sono russo”. Nella giuria siederà anche Igor Matvienko, fondatore dei Liubè, il gruppo preferito di Putin.
Ma è la presenza americana a rendere l’evento esplosivo. Per ora non si conosce l’identità del cantante o del gruppo che rappresenterà gli Usa. C’è chi ipotizza un artista vicino all’ambiente trumpiano, magari per lanciare un messaggio preciso in vista delle elezioni. Intanto, l’Ucraina protesta: “È propaganda russa”, ha detto il ministero degli Esteri, invitando i Paesi alleati a boicottare il festival.
La verità è che Putin vuole riscrivere la geopolitica anche con le canzoni. E questa volta, il microfono diventa un’arma.
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