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Mondo

Lo scioglimento dei ghiacci sull’Everest porta a drammatiche scoperte

Lo scioglimento dei ghiacci sull’Everest sta portando alla luce centinaia di corpi di alpinisti scomparsi. Un tragico segno del cambiamento climatico che colpisce la “zona della morte”.

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    L’Everest, simbolo di sfida e conquista, ora rivela un volto tragico del cambiamento climatico. Il progressivo scioglimento dei ghiacci sta facendo riemergere centinaia di corpi di alpinisti scomparsi negli anni. La “zona della morte”, così chiamata per le condizioni estreme che presenta, sta diventando un macabro monumento alle vittime del riscaldamento globale. I resti degli scalatori, intrappolati nel ghiaccio per decenni, emergono come testimoni silenziosi delle condizioni sempre più critiche del nostro pianeta.

    Un segnale allarmante

    Il drammatico ritorno di questi corpi è un chiaro segnale dell’intensificarsi del riscaldamento globale. Il ghiaccio, che per secoli ha custodito i resti di chi ha sfidato l’Everest, si sta sciogliendo a ritmi preoccupanti. Questo fenomeno non solo svela il lato oscuro delle spedizioni alpinistiche, ma evidenzia anche l’urgenza di affrontare la crisi climatica. Le immagini dei corpi riemersi, riportate dai media, mostrano l’inquietante realtà che il riscaldamento globale porta con sé.

    Le operazioni di recupero

    Le operazioni di recupero dei corpi riemersi sull’Everest sono estremamente complesse e pericolose. Gli alpinisti e le squadre di soccorso devono affrontare condizioni atmosferiche estreme, altitudini elevate e terreni impervi. Il recupero richiede un coordinamento meticoloso e una pianificazione precisa. Spesso, le squadre devono lavorare in condizioni di visibilità ridotta, temperature gelide e rischio di valanghe. Il recupero di ogni corpo è un’impresa ardua che richiede giorni, se non settimane, di sforzi intensi.

    Le sfide logistiche

    Oltre alle difficoltà intrinseche delle condizioni ambientali, le operazioni di recupero devono affrontare anche sfide logistiche significative. Il trasporto delle attrezzature necessarie per il recupero è complicato e costoso. Le squadre devono essere equipaggiate con strumenti specializzati per affrontare il terreno ghiacciato e instabile. Inoltre, la necessità di garantire la sicurezza degli operatori durante le operazioni aggiunge un ulteriore livello di complessità.

    Un tributo silenzioso

    Ogni corpo recuperato rappresenta una vita spezzata, una storia di sogni e aspirazioni interrotti. Gli alpinisti che hanno perso la vita sull’Everest hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’alpinismo. Il loro sacrificio diventa ora un tributo silenzioso alla necessità di preservare il nostro pianeta. Le operazioni di recupero non solo restituiscono dignità ai defunti, ma ricordano anche l’urgenza di agire contro il cambiamento climatico.

    Storie emblematiche: Green Boots e la Bella Addormentata

    Tra i corpi riemersi, alcuni sono diventati tristemente famosi. Uno di questi è quello noto come “Green Boots”, il corpo di Tsewang Paljor, un alpinista indiano scomparso nel 1996, riconoscibile per gli stivali verdi che indossava. Il suo corpo è diventato un punto di riferimento macabro per chi tenta la scalata.

    Un’altra storia è quella della “Bella Addormentata”, Francys Arsentiev, un’alpinista americana morta nel 1998. Francys non riuscì a tornare al campo base dopo aver raggiunto la vetta senza ossigeno supplementare. Il suo corpo, trovato seduto e con i capelli biondi al vento, è diventato un simbolo della bellezza e del tragico destino che può attendere gli alpinisti sull’Everest.

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      Julian Assange: “Colpevole di giornalismo, non di crimini”. l fondatore di WikiLeaks parla dopo la scarcerazione

      Dopo oltre un decennio di battaglie legali e detenzione, Julian Assange racconta la sua esperienza a Strasburgo: la prigione, la libertà conquistata a caro prezzo e la sua ferma difesa del giornalismo come strumento essenziale per la democrazia.

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        Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è tornato a parlare in pubblico dopo la sua scarcerazione lo scorso giugno, avvenuta grazie a un patteggiamento con il Dipartimento di giustizia americano. Nel suo discorso al Consiglio d’Europa, a Strasburgo, Assange ha fatto una dichiarazione potente: “Alla fine ho scelto la libertà, piuttosto che una giustizia irrealizzabile”. Visibilmente provato, ha descritto i lunghi anni di detenzione a Belmarsh, una prigione di massima sicurezza a Londra, come un’esperienza che ha segnato profondamente la sua salute fisica e psicologica.

        Assange ha spiegato che non è libero oggi grazie al sistema giudiziario, ma perché si è dichiarato “colpevole di giornalismo”. “Mi sono dichiarato colpevole di aver cercato informazioni, di averle ottenute e di averle rese pubbliche”, ha affermato, sottolineando come il suo lavoro fosse semplicemente giornalismo investigativo, un’attività che considera fondamentale per la democrazia.

        Accompagnato dalla moglie Stella e dal direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, Assange ha criticato duramente il sistema giudiziario americano e ha svelato che l’accordo di estradizione gli ha impedito di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti Umani. “La giustizia per me è ormai esclusa”, ha dichiarato, ribadendo che la sua lotta era volta a informare l’opinione pubblica su verità scomode, come quelle sui crimini di guerra in Afghanistan e Iraq.

        Nel suo intervento, Assange ha voluto ricordare al mondo che il giornalismo investigativo è essenziale per una società libera. Ha voluto far capire che, nonostante la sua scarcerazione, le battaglie legali e politiche non sono finite.

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          Mondo

          Taylor Swift e Kamala Harris: l’endorsement mobilita la generazione Z, ma non sposta i voti

          Mentre la maggior parte degli elettori non sembra influenzata direttamente dall’appoggio di Swift, l’aumento delle registrazioni per votare dimostra che la sua capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani, è determinante.

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            Il sostegno di Taylor Swift alla vicepresidente Kamala Harris nelle elezioni presidenziali del 2024 ha fatto scalpore, ma la sua reale influenza sui voti sembra avere un peso minore di quanto ci si aspetti. Secondo sondaggi e analisi di esperti del Newsweek, l’appoggio della cantante non porterà direttamente a un aumento di voti per Harris, ma potrebbe avere un impatto sostanziale sull’affluenza alle urne, soprattutto tra i giovani elettori, come già successo in precedenza.

            Nel suo messaggio, Swift ha esortato i suoi milioni di fan a registrarsi per votare tramite il sito Vote.gov. Nei giorni successivi al suo post, si è verificato un aumento del 585% nelle registrazioni e verifiche del proprio stato di voto, con oltre 400.000 click registrati nelle prime 24 ore.

            Gli esperti, però, sono cauti nel prevedere un impatto diretto sul sostegno a Harris. Un sondaggio condotto dalla Quinnipiac University tra il 19 e il 22 settembre mostra che il 76% degli intervistati afferma di non essere influenzato dall’endorsement di Swift, mentre il 9% si dichiara più entusiasta della candidatura e il 13% meno entusiasta.

            La potenza dell’appello di Swift: non solo voti, ma affluenza

            Dafydd Townley, docente di politica americana, sottolinea che la maggior parte dei fan di Swift probabilmente avrebbe votato per Harris anche senza il suo intervento. Tuttavia, la popstar ha dimostrato di avere un grande potere nel mobilitare gli elettori e nell’incentivare la registrazione di nuove persone, soprattutto tra i giovani. La generazione Z, in particolare, potrebbe giocare un ruolo chiave nelle prossime elezioni, e Swift è una figura di riferimento per questo gruppo demografico.

            Un esempio che fa storia

            Non è la prima volta che Swift si impegna politicamente. Già nel 2018, la cantante aveva mobilitato migliaia di persone a registrarsi per le elezioni di metà mandato, con un impatto immediato sulle registrazioni. Anche nel 2023, un suo post su Instagram ha portato a 35.000 nuove registrazioni, dimostrando il suo potere di influenzare l’affluenza tra i più giovani.

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              Vaccini, Boris Johnson e l’invasione fantasma: “Volevo attaccare l’Olanda per riprendermi le dosi”

              “Dopo mesi di negoziati inutili, l’Ue ci trattava con dispetto”: così Johnson giustifica l’idea estrema di intervenire militarmente in un paese alleato

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                Londra – Un’operazione militare in Olanda per recuperare le dosi di vaccino anti-Covid “prese in ostaggio” dall’Unione europea con “malizia e dispetto”. Questo è uno dei passaggi più sorprendenti della nuova autobiografia di Boris Johnson, intitolata Unleashed – letteralmente, “sguinzagliato” – in uscita il 10 ottobre nel Regno Unito. L’ex primo ministro britannico ha svelato retroscena mai rivelati prima sui suoi anni al potere, incluso un possibile raid militare durante la pandemia per recuperare vaccini bloccati in territorio olandese.

                Secondo quanto riportato in un’anteprima pubblicata dal Daily Mail, Johnson ha raccontato di una riunione segreta nel marzo 2021 a Downing Street, in cui le forze armate britanniche studiarono la fattibilità di un’operazione in Olanda. L’obiettivo? Recuperare cinque milioni di dosi di AstraZeneca custodite nello stabilimento Halix di Leiden, bloccate dall’Ue e impossibili da esportare in Gran Bretagna.

                Johnson descrive la scena nei minimi dettagli: “Il generale Doug Chalmers, vice capo di stato maggiore della Difesa, spiegò che un intervento era possibile: avremmo potuto inviare una squadra su un aereo civile e un’altra su gommoni militari”. Ma l’ex premier ricorda di essersi trattenuto: “Sapevo che era una pazzia, ma ero disperato. Fintanto che la gente del mio paese continuava a morire di Covid, credevo fosse mio dovere mettere le mani su quelle dosi e usarle per salvare vite nel Regno Unito”.

                L’assalto mai avvenuto

                L’operazione, fortunatamente mai realizzata, avrebbe potuto creare un grave incidente diplomatico, dal momento che l’Olanda è un paese membro della Nato, alleato della Gran Bretagna. Tuttavia, l’insistenza di Johnson sul fatto che l’Ue stesse trattenendo le dosi “con dispetto” per punire il Regno Unito, reo di aver lasciato l’Unione con la Brexit, lo spinse a considerare l’intervento.

                In quel periodo, ricorda Johnson, il Regno Unito stava vaccinando a ritmi record, grazie proprio al vaccino AstraZeneca, sviluppato con fondi governativi britannici. Dopo due mesi di “futili negoziazioni” con Bruxelles, l’ex premier arrivò alla conclusione che l’Ue stava volutamente sabotando il successo del Regno Unito. “Potevo vedere lo stabilimento su Google Earth, sembrava facile da svaligiare”, scherza Johnson nella sua autobiografia.

                Critiche alla retorica bellica

                Le rivelazioni di Johnson hanno subito scatenato critiche, anche da parte di testate tradizionalmente vicine ai conservatori. The Spectator, ad esempio, ha messo in dubbio la lucidità dell’ex premier, sottolineando come già nel marzo 2021 fosse evidente che il vaccino AstraZeneca presentava dei limiti, e che un leader più saggio avrebbe evitato azioni sconsiderate. “Era così inebriato dal successo del vaccino post-Brexit – scrive il giornalista Ross Clarke – che la sua capacità di giudizio ne risultò compromessa”.

                “Grazie alla Brexit abbiamo vinto la corsa al vaccino”

                Nell’autobiografia, Johnson non mostra alcun segno di ripensamento: anzi, rivendica il successo della Gran Bretagna nella corsa al vaccino, che attribuisce interamente alla Brexit. “È grazie alla Brexit e a Kate Bingham, che guidò l’operazione vaccini, se siamo stati i primi a vaccinare la nostra popolazione. Avevo ragione quando, su un muro di Notting Hill, lessi la scritta ‘la Brexit salva vite'”, afferma con orgoglio l’ex primo ministro.

                Lo stile diretto e spesso provocatorio di Johnson emerge in diversi passaggi del libro. Parlando della sua predecessora Theresa May, scrive di aver sempre apprezzato “l’arroganza da maestra” e il modo in cui alzava gli occhi al cielo ogni volta che lui le diceva “qualcosa di scandaloso”. Inoltre, Johnson rivela di essere stato incaricato di parlare con il principe Harry per convincerlo a non trasferirsi in California, un episodio che Buckingham Palace ha prontamente smentito.

                In ogni caso, Unleashed promette di essere una lettura esplosiva che riporterà Johnson al centro del dibattito politico e mediatico britannico, proprio come ai tempi del suo governo.

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